X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Grand Budapest Hotel

Pubblicato il 10 aprile 2014 da Matteo Galli
VOTO:


Grand Budapest Hotel

Cominciamo dai titoli di coda. Non senza stupore troviamo Wes Anderson che cita come principale fonte d’ispirazione Stefan Zweig, autore austriaco di origine ebraica morto suicida in Brasile nel 1942. Il pubblico italiano, volendo saperne di più, ha solo l’imbarazzo della scelta perché di Zweig al momento in commercio ci sono decine di libri, il più noto dei quali è forse l’autobiografia, postuma, intitolata Die Welt von gestern (Il mondo di ieri) una struggente laudatio temporis acti, esaltazione dell’Impero asburgico come insuperato e appunto compianto esempio di obbedienza e fedeltà, di pacifica convivenza fra diverse etnie, uno dei testi che servirono a Claudio Magris negli anni ’60 per studiare e in qualche modo celebrare il mito absburgico. Negli ultimi anni negli USA si è assistito a un autentico e tardivo revival dell’opera di Zweig, ci informa Anderson. Non si tratta dunque di un rimando a trabocchetto, ma di un esplicito, coltissimo omaggio voluto dal regista.

- E torniamo all’inizio, ai titoli di testa e alle sequenze iniziali: tramite una serie di scatole cinesi - racconto nel racconto nel racconto, un flashback via l’altro sempre più indietro - approdiamo dopo qualche minuto al racconto principale, un vecchio signore dal nome parlante Mustafa Zero (Murray Abraham) racconta allo scrittore da giovane (Jude Law) la sua oltremodo avventurosa vita e, soprattutto, quella mirabolante del suo mallevadore, educatore il fascinoso portiere Gustav (Ralph Fiennes), tombeur des femmes, soprattutto di signore ricche e avanti con gli anni. Il vero protagonista del film è tuttavia l’albergo, il Grand Budapest Hotel (abbreviato con il logo GB, il film - giova ricordarlo - è una coproduzione anglo-tedesca), situato sul cocuzzolo di una montagna (magica, se mai ve ne furono), nella minuscola e immaginaria repubblica di Zubrowka, in un piccolo paese immaginario denominato Nebelsbad dove il giornale locale si chiama “Trans-Alpine Yodel” e la pasticceria Mendl’s.

La vicenda, rutilante e qua e là un po’ troppo compiaciuta, è suddivisa in cinque capitoli e ruota intorno alla morte (omicidio?) di un’aristocratica (Tilda Swinton) ex amante di Gustave e alla sua cospicua eredità, un preziosissimo quadro, soprattutto. Intorno a questa vicenda si dipana un plot pieno di colpi di scena (insieme a Zero, Gustave, novello Felix Krull, sale, scende, risale e riscende), di personaggi improbabili, quali Dimitri (Adrien Brody), il figlio di Madame D., un efferato killer (William Dafoe), l’esecutore testamentario (Jeff Goldblum), l’organizzatore di una fuga dal carcere (Harvey Keitel), il coordinatore di una potentissima lobby internazionale di concierge (Bill Murray), un poliziotto gentiluomo (Edward Norton, per la seconda volta consecutiva costretto in divisa da Wes Anderson, dopo Moonrise Kingdom).

Una vicenda picaresca, impossibile da raccontare: action movie, thriller, slapstick, film di guerra, il tutto costantemente in bilico fra puro divertissement e amara parabola, appunto, sul mondo di ieri, girato da un regista che - da tempo lo abbiamo imparato - non arretra dinanzi a nulla, sia sul piano della costruzione che dei movimenti di macchina, anche se - di tanto in tanto - la costruzione e i colpi di scena si avvitano su se stessi.

Il film è stato girato a Görlitz al confine fra Germania e Polonia. Il cast - che cast! - era stato dotato di un’apposita videoteca in modo che gli attori capissero a quali film Wes Anderson intendeva ispirarsi, quali registi intendeva omaggiare. Inutile dire che al primo posto c’è Ernst Lubitsch citato a man bassa da Montecarlo a Mancia competente, da Essere o non essere a Scrivimi fermo posta (Budapest!) , ma poi Rouben Mamoulian (Amami stanotte), Frank Borzage (Bufera mortale) e molti altri. Non solo per il cast stellare, non solo perché anch’esso è stato girato in Germania, fatto sta che ogni tanto viene da pensare anche a Inglorious Basterds, soprattutto verso la fine quanto l’hotel viene pavesato con stendardi che invece della croce uncinata presentano due ZZ.

Vi è fra i moltissimi un altro autore omaggiato da Wes Anderson, il grande Siegfried Kracauer e le note sulla hall d’albergo del 1925, contenute nel suo saggio sul romanzo poliziesco: la Hotelhalle come cattedrale senza Dio, dove gli individui hanno perso una referenza comune verso il trascendente e approdano, sbandati, isolati, prigionieri della propria solitudine e del proprio egoismo, vittime del nulla. Si avverte nel film di Anderson la nostalgia di quando le cose, ancora, non stavano così.


CAST & CREDITS

(The Grand Budapest Hotel) Regia: Wes Anderson; sceneggiatura: Wes Anderson; fotografia: Robert Yeoman; montaggio: Barney Pilling; musica: Alexandre Desplat; interpreti: Ralph Fiennes (M. Gustave), Bill Murray (M. Ivan), Edward Norton (Henckless), Jude Law (giovanr scrittore); produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Production; distribuzione: 20th Century Fox; origine: Inghilterra, Germania; durata: 100’.


Enregistrer au format PDF