The Hitcher

Un simpatico coniglietto si affaccia sul ciglio di una strada di campagna americana. Tremebondo sogna le carote al di là del serpentone d’asfalto. Si sporge d’un pelo appena, coi dentoni frementi, per saggiare la tenuta del traffico e la possibilità di un attraversamento sicuro. Solo una macchina avanza non troppo veloce sull’altra corsia: un pericolo che non è ancora pericolo, che lascia nell’indecisione. La fame, alla fine, vince la paura e con due saltelli il piccolo roditore è già nel mezzo della strada, giusto in tempo perché un’altra macchina, non vista, lo travolga ponendo fine alle sue inutili ansie da comparsa di film horror.
È questo l’inizio shock della nuova versione di The Hitcher. Ma sarebbe forse il caso di dire l’inizio sciocco dal momento che, il coniglio, come te lo vedi apparire sulla scena, sai già che ti finirà in padella a rosolare con quelle carotine che avrebbero dovuto essere la sua colazione.
Un inizio che è già una dichiarazione di intenti, un vero e proprio manifesto di poetica per tutto il genere di cui The Hitcher è solo l’ultimo esponente. Ormai è chiaro: nell’horror il pericolo è l’assoluta conditio sine qua non, l’unica cosa che conta è farlo arrivare da dove meno te lo aspetti. Come per il coniglietto che fissa spaventato la macchina ancora lontana sull’altro lato della strada e non si accorge che la morte gli sta arrivando alle spalle.
Così è la storia dell’autostoppista folle che razzola le strade con la pertinacia metodica del serial killer: lo sai che ti farà del male, ma sei tu che l’hai raccolto sul ciglio della strada, sei tu che l’hai fatto salire in macchina deciso a dividere con lui quell’universo concentrazionario, quello spazio vitale risicato e a rischio d’incidente che è l’abitacolo della tua vettura quando sei in viaggio.
Il problema è che l’horror si è talmente chiuso nelle sue convenzioni che diventa sempre più difficile trovare soluzioni originali, strade nuove che la morte possa percorrere senza che noi ci se ne si accorga. In fine dei conti, anche nella realtà della sequenza prologo, le opzioni nelle mani degli sceneggiatori non è che siano poi così tante. Le strade, ovunque nel mondo, hanno solo due sensi di marcia e la morte, se non ti arriva da destra, può arrivarti solo da sinistra.
Con il remake, poi, le cose si complicano non poco perché qui ogni strada è già stata tracciata e la storia è obbligata a seguire un tracciato che è stato percorso da altri almeno una volta. Letteralmente una strada a senso unico.
Le variazioni concesse sono poche e non è detto che possano farsi apportatrici di un senso.
Ad esempio il passaggio dalla logica del duetto della vecchia versione in cui i protagonisti veri erano solo il ragazzo e l’autostoppista a quella di triangolare con due fidanzatini e folle assassino a seguito della nuova versione non è funzionale ad uno sviluppo originale del discorso. Col moltiplicarsi dei personaggi si perde, infatti, la lucida astrazione dell’apologo e si annacqua quella logica speculare nella quale vittima e carnefice si riflettevano l’uno nell’altro arrivando a confondersi.
Scompare l’ambiguità nella nuova versione di The Hitcher. E non solo perché Sean Bean è attore meno carismatico ed inquietante di Rutger Hauer, ma perché è l’intera pellicola ad essere figlia di un periodo che chiede anche all’horror più certezze. Per questo i due fidanzatini si caricano, certo, in macchina il mostro della notte, ma lo fanno controvoglia, quasi fosse un obbligo che hanno nei confronti della sceneggiatura.
Se dicessimo che The Hitcher non spaventa diremo una sostanziale bugia. Il film coinvolge lo spettatore e lo tiene sulla poltrona con tutti i mezzi possibili di un’immedesimazione di superficie. Il problema del film è che la sua carica minacciosa è per lo più derivativa, gli viene dritta dritta dalle inquietudini del modello. Tutte le volte che il regista abbandona il solco del già detto e si avventura su strade laterali, la bussola si perde e il tutto diventa poco credibile (si pensi all’immondo finale o alla scena in cui le macchine piovono letteralmente dal cielo quasi fossero le rane di Magnolia).
Peccato perché Sophia Bush e Zachary Knighton hanno le facce e i corpi giusti e la storia è di quelle che si piegano diligenti ad ogni possibile lettura metaforica.
(The Hitcher); Regia: Dave Meyers; sceneggiatura: Eric Red, Eric Bernt, Jake Wede Wall; fotografia: James Hawkinson; musica: Steve Jablonsky, Jim May; interpreti: Sophia Bush (Grace Andrews), Sean Bean (John Ryder), Zachary Knighton (Jim Halsey), Neal McDonough (Tenente Esteridge), Kyle Davis (Impiegato del negozio), Skip O’Brien (Sceriffo Harlan Bremmer), Danny Bolero (Edwards); produzione: Intrepid Pictures, Platinum Dunes; distribuzione: Medusa film; origine: USA, 2007; durata: 83’
