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The Horsemen

Pubblicato il 9 febbraio 2009 da Lorenzo Vincenti


The Horsemen

Poi vidi quando l’Agnello aperse il primo dei sette sigilli, e udii uno dei quattro esseri viventi, che diceva come con voce di tuono: «Vieni e vedi».

Paesaggio gelido del Nord America. Clima rigido, bosco innevato e lupi ululanti. Un anziano uomo cammina senza indugi tra gli alberi sino a giungere nel mezzo di un lago ghiacciato. Un piccolo tavolino compare d’innanzi al suo sguardo ed un coperchio d’argento poggiato sopra di esso attira la curiosità dell’uomo. Quest’ultimo si accinge ad alzare il coperchio quando uno stacco di montaggio devia l’attenzione sui suoi occhi; come sbarrati, detronizzati dalla visione di qualcosa d’agghiacciante. Non è una scena del crimine ad aprire The horsemen, ma l’invocazione dell’atto, l’indizio da consegnare alle autorità per iniziare una discesa sempre più convulsa e vorticosa negli inferi. Il diapason chiama la nota e l’intro consegna nelle mani del protagonista e dello spettatore un nuovo serial killer cinematografico da seguire, capire e smascherare. L’ennesimo assassino bidimensionale che, come recita il trailer, ha la pretesa e la speranza di suscitare sensazioni già prodotte dai maniaci di Seven e Saw – L’enigmista. Questa volta sono i celebri passi dell’Apocalisse ad ispirare le gesta criminose raccontate nel film, in particolar modo il punto del testo di Giovanni in cui si narrano le vicende dei quattro cavalieri: Pestilenza, Guerra, Carestia e Morte, scesi sulla terra il giorno del giudizio per diffondere ogni tipo di male. Contrariamente ai film precedentemente citati, nei quali la malvagità si racchiudeva in un’unica personalità deviata, in questa occasione gli assassini diventano quattro, come i cavalieri appunto, organizzati e determinati a portare a termine altrettanti sacrifici umani secondo quanto dettato dalle scritture. L’investigatore di turno in un primo momento sembra trovarsi di fronte all’ennesimo caso della sua lunga carriera professionale. Non si percepisce il movente meschino che lo attira in questo turbinio di eventi drammatici. Qualcosa di oscuro che ben presto però lo coinvolgerà direttamente lasciando un segno indelebile su di lui e sulla sua famiglia.

Seconda opera per il regista e montatore Jonas Åkerlund, che dopo le allucinazioni di Spun e la lunga lista di videoclip diretti in passato, tenta ora il confronto con le difficili tensioni e sensazioni di un genere sempre vivo come il thriller. Nel complesso il risultato che ne scaturisce non è molto confortante, a causa di una messa in scena un po’ troppo approssimativa ed una totale mancanza di originalità. Le atmosfere, l’intreccio narrativo e gli elementi ‘audio-visivi’ sono, infatti, in perfetta tendenza con i canoni del genere. Non si discostano mai da una routine di sicuro affidamento, che non tradisce le attese dello spettatore ma che nemmeno ne esalta la fruizione. La tensione provocata dal racconto riesce in larghi tratti ad appassionare lo spettatore, attira la sua attenzione così come l’elemento di mistero che si cela dietro i crimini. Ad un certo punto però, questo interesse comincia ad infrangersi contro il muro della prevedibilità ed il film subisce improvvisamente una brusca frenata a seguito della quale inizia a girare inutilmente su se stesso. Dopo una prima parte emotivamente apprezzabile, quindi, ci si sarebbe aspettato un cambio di passo che avrebbe senza dubbio rinvigorito un film sempre più imbrigliato, con il passare dei minuti, in un gioco di rimandi cinematografici e di colpi di scena sterili e poco incisivi. La scelta del richiamo ai quattro cavalieri dell’Apocalisse, nonostante sia sempre un tema affascinante e misterioso, non riesce totalmente a convincere. Sembra piuttosto una decisione azzardata, figlia più di un opportunismo commerciale che di una costruita elaborazione autoriale dell’argomento. La sensazione è che si sia optato per un tema così complesso ed affascinante solo per costruire un’esca corposa e succulenta, da arricchire con una storia radicata nella realtà e da lanciare verso lo spettatore. A differenza di Seven, il film di Åkerlund manca proprio di una putrida visione dal basso. I sette peccati capitali riescono ad essere più coinvolgenti perché sempre attuali e soprattutto perché intimamente legati al lato corrotto di ogni essere umano; mentre i quattro Cavalieri appaiono nel complesso troppo mitici per andare a mescolarsi con le ansie intime dell’uomo moderno. Non si vive il legame causale tra il serial killer e la sua fonte d’ispirazione (le scritture di Giovanni) perché questa appare fondamentalmente in una forma troppo universale rispetto all’intima solitudine che solitamente attanaglia un serial killer. Un film difettoso quindi che a tratti (e in determinati elementi) sembra nascondersi dietro le sovrastrutture del genere ed in altri, invece, pare ostentare una pretenziosità assolutamente fuori luogo. Come se volesse ergersi in maniera molto presuntuosa ad epitome di un genere che le sue milestones le ha già fornite in passato e senza dubbio le fornirà ancora in futuro. Un’opera con delle pecche drammaturgiche e narrative non eclatanti ma evidenti, ancor più appesantite poi da una forma troppo anonima, una costruzione dell’impianto visivo sempre dentro i limiti dell’accettabile e del sufficiente (e mai quindi vicina all’eclatante o al clamoroso) e una performance recitativa leggermente sotto tono, in cui Dennis Quaid non riesce a dare quel valore aggiunto sperato. Insomma un film destinato a perdersi in breve tempo, come l’ennesima goccia che cadendo in mare si confonde tra le acque sconfinate ed immense.


CAST & CREDITS

(The Horsemen) Regia: Jonas Åkerlund; soggetto e sceneggiatura: Dave Callaham; fotografia: Eric Broms; montaggio: Jim May, Todd Miller; musiche: Jan A. P. Kaczmarek; scenografia: Sandy Cochrane; costumi: B.; interpreti: Dennis Quaid, Ziyi Zhang, Lou Taylor Pucchi, Clifton Collins Jr., Peter Stormare; produzione: Mandate Pictures, Platinum Dunes, Radar Pictures; distribuzione: Moviemax; origine: USA; durata: 110’; web info: http://www.teamworld.it/thehorsemen/.


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