The Informant!

Un buco nell’acqua l’Informatore passato a Venezia. Deludente su tutti i fronti – stilistico, narrativo, estetico – la storia del biochimico manager Mark Whitacre che con trucchi, inganni e una patologica attitudine alla bugia si propone come informatore per l’FBI con l’intento di smascherare un accordo segreto per il controllo dei prezzi dell’industria agroalimentare. Una storia da infinito cul-de-sac in cui si auto-conduce il protagonista, materiale tratto da una storia vera e potenziale oro nelle mani di un sapiente demiurgo meno pretenzioso. Ma il film traballa, si blocca e crolla in mille frantumi già prima della metà, senza appello.
Una sceneggiatura che potrebbe funzionare se Soderbergh non girasse con il piede sinistro, che non è quello miracoloso di Daniel Day Lewis. La regia piatta e senza verve, e una spenta fotografia diretta dallo stesso regista con il solito pseudonimo di Peter Andrews, non riesce ad ingranare, non si eleva a lubrificante dell’intrico, ma rasenta l’invisibilità, anzi, fa sentire tutta la propria presenza con un tratto prevedibile e stantìo. Dopo gli scialbi resoconti sequenziali della banda-Ocean, un fosco avvenire si pone di fronte alla stella Soderbergh, lontano anni luce dalle”paste” di Traffic e dall’impegno di Erin Brockovich, due riusciti film-antitesi dal punto di vista stilistico, uno giocato sulla regia, magistrale e pervasiva, l’altro secco e perturbante nella sua cronaca dal sapor civile. Qui il regista di Atlanta manipola a suo modo la sceneggiatura del rodato Scott Z. Burns, autore del primo Bourne, e la storia vera di Mark Whitacre, adottando uno spirito a metà tra il ludico e il satirico, ma senza riuscire ad amalgamare i registri, pasticciando le scene di comicità accennata, come fosse poco coraggioso nello stravolgere lo script e allo stesso tempo in ansia nel non riuscire a dare un tocco autoriale personale al tutto. L’impressione spiacevole è di trovarsi di fronte a un’opera “alimentare”, diretta più per confermare un’estetica di fronte a critici entusiasti del passato che per realizzare un onesto prodotto commerciale.
Nel calderone delle similarità si gettano quindi Insider e Confessioni di una mente pericolosa, ma non può non saltare all’occhio il parallelismo con lo spielberghiano Prova a prendermi. Se, prescindendo dalla contiguità delle sinossi, il film che il regista di Cincinnati presentò nel 2002 proprio al Festival di Venezia si avvaleva di un attore in stato di grazia, un Leonardo Di Caprio mimetico, simpatico, perfetto, nel pasticcio di The informant! (il punto esclamativo serve a distinguerlo dall’omonimo film di Jim McBride del 1997 con Timothy Dalton) non poche responsabilità ricadono proprio sull’interpretazione di un Matt Damon fuori parte, mai calato davvero nel personaggio. Si vanificano quindi gli sforzi strasberghiani dell’attore, ingrassato 15 chili e con vistosi baffetti biondi, una parrucca – come d’altronde nella realtà usava il vero Whitacre - e una recitazione nervosa e di inutile tensione. L’attore, che con Clooney forma una sorta di factory attoriale di Soderbergh, catalizza pedissequamente l’attenzione spostandola dai fatti narrati alla gigioneria personale, motivo per cui a volte risultano ripetitivi e incomprensibili le reiterazioni di bugie e truffe. L’ingranaggio del film si inceppa prima ancora del pur intricato ingranaggio di bugie e truffe del protagonista. Un castello di pellicola si ritorce contro il suo demiurgo: presentare il film, pur fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia non appare una grande mossa di marketing.
(The Informant!) Regia: Steven Soderbergh; sceneggiatura: Scott Z. Burns dal libro di Kurt Eichenwald; fotografia: Peter Andrews (Steven Soderbergh); montaggio: Stephen Mirrione; interpreti: Matt Damon, Scott Bakula, Joel McHale, Melanie Lynskey, Frank Welker; produzione: George Clooney, Howard Braunstein; distribuzione Italia: Warner Bros; origine: Usa, 2009; durata 108’
