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TORINO FILM FESTIVAL - The lodge

Pubblicato il 2 dicembre 2019 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

TORINO FILM FESTIVAL - The lodge

Veronika Franz è la moglie del più caustico e graffiante tra tutti i registi europei, l’austriaco, anzi ’il viennese’ Ulrich Seidl, del quale ha sceneggiato, a quattro mani con lui, pressoché l’intera filmografia. In coppia con Severin Fiala, invece, ha diretto nel 2014 un raffinatissimo thriller psicologico tinteggiato di paranormale, quel Goodnight Mommy presentato a Venezia dove scatenò giusti e congrui entusiasmi. Rieccola, Veronika, insieme al fedele sodale Fiala, entrambi coadiuvati nella scrittura da Sergio Casci, con un film tutto nuovo, questa volta girato in inglese: un horror a tutti gli effetti, che il TFF si è aggiudicato in anteprima con un anticipo di un mese e mezzo sull’uscita nelle sale italiane, prevista per il 16 gennaio. Titolo: The Lodge.

Senza mezzi termini, lo si può annoverare tra i migliori horror degli ultimi anni, laddove riesce a spazzar via decine di titoli velleitari e manierati, provenienti in particolare dall’Estremo Oriente, e papparsi a colazione altrettanti titoli prodotti in Occidente con budget cospicui deflagrati nella realizzazione di effetti speciali inerti e incapaci di conferire alle storie raccontate quello spessore e quella credibilità essenziali perché un film di genere arrivi dritto al cuore e faccia saltar giù dalla sedia per la paura. Non a caso stavolta, a coprodurre il film c’è - onore al merito - la Hammer, la gloriosa casa di produzione inglese di leggendari capolavori del genere, dal Dracula con Christopher Lee del 1958, al Let me in, il remake USA diretto da Matt Reeves dello splendido originale Lasciami entrare dello svedese Tomas Alfredson. L’impianto non potrebbe essere più semplice: una casa in montagna, due ragazzini figli di una mamma suicida perché mollata dal marito, e la giovane nuova amante del padre, disturbata da un’infanzia segnata da misteriosi fattacci di sangue (suicidi di massa, e altre amenità simili) consumati in contesti di fanatismo religioso come riportato in certe sordide cronache degli anni ’80 e ’90 dell’America rurale e profonda. Il Natale incombe e impone rituali che se non condivisi nell’armoniosa pienezza degli affetti familiari possono scatenare contrasti insanabili ed efferate violenze, specialmente se, come in Shining, una perenne tormenta di neve all’esterno impedisce di uscire di casa, e confondendo il giorno con la notte inibisce la corretta percezione del passaggio del tempo. Fin qui niente di nuovo, si dirà. Infatti è la regia, imperiosa e implacabile, che con l’uso di zoomate lentissime fino all’inavvertibilità, di repentini scarti di montaggio, di inquadrature rarefatte assimilabili ai paesaggi e agli interni stranianti e imbevuti di inquietudine planetaria delle opere dei maggiori videoartisti contemporanei, ad irretire la visione fin dalle prime inquadrature grandangolate e distorte della doll’s house che riproduce gli ambienti della casa reale dei protagonisti, abitata dai loro avatar miniaturizzati a bamboline. Il repertorio di porte che si spalancano, cani che muoiono congelati, furti compiuti da misteriose presenze in cui non si ha il coraggio di riconoscersi come veri colpevoli, pistole che una volta comparse, prima o poi spareranno secondo l’antica regola del cinema, kubrickiane prospettive rigorosamente centrali entro cui la macchina da presa avanza come un fantasma ignaro dell’attrazione di un insondabile e insondato cupio dissolvi, superfici di laghi ghiacciati pronte a spezzarsi e a inghiottire corpi che materializzano incubi e sogni proibiti di rancorosa rivalsa, è dominato da una riproduzione della celeberrima Annunciata di Antonello di Messina, che al posto della soave sorpresa della Vergine spaventata dall’Angelo del Signore, ha calata sul volto una torva espressione di minaccia evidenziata dall’ardito sguincio prospettico della mano, che se nell’originale sfida la bidimensionalità spaziale della tavola dipinta, qui si profila come il tentativo fantasmatico di infrangere la barriera che separa il mondo dei vivi dal limbo in cui languono i morti.

Girato in un digitale di qualità inferiore agli ormai attuali standard, che accresce il senso di imponderabilità del dato sensibile, e ammanta di un grigio mortifero la luce pallida della controra invernale, The Lodge esibisce fieramente il proprio limitato ventaglio di elementi di scena trasformando il minimalismo cui sembra volontariamente indulgere senza mai compiacersene, nella linfa stessa che stimola e suggerisce i rantoli della macchina da presa, nell’impossibilità di trovar vita in ambienti tanto intrisi e sommersi di morte. Lo stato puro dell’arte dell’orrore: sembrano accorgersene addirittura tutti gli attori del cast, in particolare i due giovanissimi fratellini (il ragazzino è protagonista di entrambi gli It: a proposito di horror costosi ma esangui come carcasse alla deriva...) dai quali i due registi hanno estratto ogni possibile variante espressiva delle ambiguità e della fragilità emotiva dell’infanzia e della prima adolescenza. Insomma, signore e signori: un capolavoro.


CAST & CREDITS

(The Lodge); Regia: Veronika Franz, Severin Fiala; sceneggiatura: Sergio Casci, Veronika Franz, Severin Fiala; fotografia: Thimios Bakatakis; montaggio: Michael Palm; musica: Danny Bensi, Saunder Jurriaans; interpreti: Richard Armitage, Katelyn Wells, Riley Keough, Jaeden Martell, Lia McHugh; produzione: Neon, Filmnation Entertainment, Hammer Films; origine: Gran Bretagna, USA, 2019; durata: 100’


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