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The Spirit

Pubblicato il 25 dicembre 2008 da Andrea Di Lorenzo


The Spirit

Nonostante il titolo e la data di uscita di questo film ci riportino mentalmente al celeberrimo "spirito natalizio" dickensiano, ci troviamo di fronte, in questo caso, a qualcosa di decisamente differente. The Spirit è la prima, vera, opera cinematografica realizzata nelle vesti di regista dal fumettista, pardon, graphic novelist, Frank Miller, già autore di tavole disegnate quali quelle di Sin City e 300. Dopo la prima esperienza pseudo-registica (quel Sin City per il quale si avvalse dell’aiuto di Robert Rodriguez e Quentin Tarantino), Miller "esplode" in questo film la sua vera poetica visiva: un cinema che è fumetto, un cinema fatto di chiaroscuri e personaggi che odorano di china. Un cinema, inoltre, che gioca con lo spettatore, chiamato di volta in volta a scovare indizi, tracce e riferimenti, nascosti (nemmeno troppo in verità) nel film. Un cinema fortemente autoreferenziale, anche quando, come in questo caso, prende spunto dal lavoro di William Erwin Eisner, più conosciuto con il solo nome di Will, considerato come uno dei più importanti autori del fumetto a livello mondiale, già maestro dello stesso Miller e scomparso pochi anni fa (2005). Il suo The Spirit (fumetto realizzato a cavallo tra gli anni’50 e ’60, da cui Miller ha attinto il materiale per costruire la sceneggiatura del film) è da considerarsi uno dei capisaldi della letteratura del genere, uno dei punti chiave per l’evoluzione dello stesso: al suo interno, Eisner sperimentò differenti e nuovi metodi di narrazione, arrivando a influenzare non solo i suoi colleghi, ma anche personaggi come Orson Welles e William Friedkin. L’influenza dell’autore americano sui due non è casuale, The Spirit infatti presenta a sua volta fortissime influenze cinematografiche, rintracciabili tanto nelle atmosfere noir quanto nel taglio visivo che il disegnatore ha voluto loro dare. Come già detto, The Spirit è il primo film realizzato totalmente, a livello registico, da Frank Miller. In Sin City, seppur accreditato come regista, Miller era rimasto in secondo piano al momento di girare, lasciando l’incombenza al ben più addestrato Rodriguez. Una scelta che, almeno in parte, non permise una totale esemplificazione della componente visiva milleriana. Sin City è infatti sin troppo cinematografico nei suoi movimenti di macchina e nella sua consapevolezza di essere cinema, l’apporto di Rodriguez è chiaramente visibile ad un occhio attento e sovrasta quello di Miller: The Spirit, invece, ci mostra appieno come il cinema sia un’arte plasmabile, facilmente asservibile alla fantasia umana. Lo spirito di Miller è un fumetto: lo sono le sue inquadrature, i suoi campi e controcampi, i suoi dettagli e i suoi dialoghi. Il tutto è pensato come se si stesse "costruendo" un fumetto, non come se si realizzasse un film. Senza contare poi la fotografia: contrasti esasperati, luci dure e drammatiche talvolta teatrali (spesso, comunque, tecnicamente slegate dal contesto ambientale in cui sono attuate), volti scolpiti dalle rughe e pelli innaturalmente lisce (più di una volta si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una di quelle pubblicità Dior-style con modelle dalla pelle perfetta ritoccata con Photoshop). Una scelta, quest’ultima, che magari può far storcere il naso ma che rientra pur sempre in quel contesto fumettistico di cui il film è parte: le rughe, così come le imperfezioni, sono prettametne maschili, le donne sono perfette, meravigliose, veri angeli di cui il buon Spirit non può fare a meno e alle quali non disdegna mai uno dei suoi "sorisi maggici", per dirla alla Mandrake. Esse devono dunque apparire perfette, quasi eteree e angeliche oltrechè, naturalmente, estremamente appariscenti (in tutti i sensi...) e conturbanti. Sopra ogni cosa regna la componente visiva, a scapito anche della sceneggiatura se serve (d’altronde si parla qui di "cinema della visione", la trama è solo secondaria all’impatto visivo). Tutto è pensato a partire da un fumetto per rendere il prodotto finale quando di più fumettistico ci sia e, a tal proposito, ci viene in mente un paragone che appare per certi versi scontato: in Speed Racer i Wachowski Bros. fecero una cosa molto simile con i cartoni animati giapponesi, lavorando visivamente per riportare sul grande schermo, in carne ed ossa, quel concetto visivo proprio degli anime, nello specifico del caso di Mach 5 Go! Go! Go!. Il concetto, come si potrà capire, è il medesimo e la riuscita, a nostro avviso, egualmente ottima.

La trama è di per sè molto semplice e lineare e, in questa sede, non andremo a trattarla approfonditamente per lasciare allo spettatore il gusto di scoprirne l’evolversi. Diciamo solo che al centro di tutto c’è Spirit, alias Danny Colt, poliziotto resuscitato (in circostanze poco chiare) che ora veglia su quella che considera la sua unica ragione di vita: la sua città, Central City (la sua donna, sua madre, una puttana, la definisce nel corso degli eventi). Alter ego di questo eroe con la mascherina è Octopus, ex-coroner con il pallino della genetica, strambo, allucinato e con una insana mania per i costumi... diciamo bislacchi e improbabili. Attorno a questi due ragazzacci, ruota tutta una serie di donne che, più o meno, svolgono il ruolo di spettatrici/comparse nell’evoluzione drammatica (se così si può chiamare) del film. Più importante, in questo frangente, è invece parlare di come la sceneggiatura di The Spirit (firmata sempre da Miller), abbia visto la luce. Essa, non è tratta da un semplice episodo del fumetto originale, bensì da un’occasione particolare, o meglio, da un episodio (quello in cui appare la ladra Sand Saref, interpretata sul grande schermo da una conturbante Eva Mendes) che diviene punto di partenza del lavoro di sceneggiatura: Miller parte dunque da questo personaggio, dal suo apparire nel fumetto, per creare una sorta di puzzle, realizzato con i pezzi "migliori" delle tavole originali. Un lavoro non semplice, che ha portato Miller a espandere, modificare, comprimere, tagliare e intersecare, buona parte dei pezzi di cui parlavamo prima, non disdegnando nel contempo una sua rilettura e modifica a partire da certi canoni stilistici propri dell’autore di 300, che facilmente i suoi fan potranno ravvisare in questo film.

Capitolo a parte merita il "bouquet" di attori facenti parte del cast: numerose le facce note presenti alla corte di Miller, a partire da Samuel L. Jackson (Octopus), passando per il manichino (da leggersi qui in senso scherzoso) Scarlett Johansson (Silken Floss) e la già citata Eva Mendes. Meno conosciuto è invece il protagonista, lo spirito di Central City, interpretato da Gabriel Macht, già visto in Behind the enemy lines e The Good Shepard ma comunque poco conosciuto dal grande pubblico, scelto proprio per il suo non esser conosciuto al grande pubblico. Uno stratagemma, questo di portare sullo schermo l’eroe di turno senza caratterizzarlo attraverso l’uso di un attore famoso o molto conosciuto, pienamente funzionante nel contesto filmico in cui lo si mette in atto ma che, se ben si ragiona, porta con sè anche un... contrappasso da cui un’attore (a meno che non sia Viggo Mortesen, per fare un esempio) difficilmente potrà liberarsi: si evita che sia l’attore a personalizzare il personaggio, ma si lascia che sia il personaggio ad impriogionare l’attore. D’ora innanzi invece del povero Macht vedremo Spirit e la sua mascherina, un po’ quello che è successo ad Elija Wood, d’ora in poi sempiterno Frodo...


CAST & CREDITS

(The Spirit); Regia: Frank Miller; sceneggiatura: Frank Miller (tratta dai fumetti di Will Esner); fotografia: Bill Pope; montaggio: Gregory Nussbaum; musica: David Newman; interpreti: Gabriel Macht (Spirit/Danny Colt), Samuel L. Jackson (Octopus), Eva Mendes (Sand Sarif), Scarlett Johansson (Personaggio), Stana Katic (Morgenstern), Louis Lombardi (Pathos, Ethos, etc.); produzione: Lionsgate, Odd Lot Entertainment, CEG, Media Magik Entertainment; distribuzione: Sony Pictures; origine: USA, 2008; durata: 103’


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