X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



THE WAYWARD CLOUDS

Pubblicato il 18 febbraio 2005 da Antonio Pezzuto


THE WAYWARD CLOUDS

Lascia senza parole l’ultimo film di Tsai Ming-liang, The wayward clouds, 112 minuti di silenzioso malessere che partono laddove era finito Che ora è laggiù. Lascia senza parole, ed è un film senza parole, sulla sessualità, il mondo del porno, l’estetica camp che domina negli inserti sonori, spezzoni di un musical vero e proprio, con canzoni pop cinesi, cantate in un playback falso e malinconicamente divertito. Protagonista Lee Kang-sheng, tornata dalla Francia e impossibilitata a trovare il suo venditore di orologi preferito, a causa delle trasformazioni che la città di Taipei sta subendo, della ristrutturazione della Piazza della Stazione dove il giovane aveva il suo banchetto. Trasformazioni che rendono impossibile la vita quotidiana. Non c’è più acqua che esce dai rubinetti, ci si può lavare solo con acqua minerale o pulire con la carta igienica. Molto cool, invece, è il succo di anguria, che costa pochissimo visti i prezzi nei supermercati, ma la scena iniziale, le dita che penetrano un’altra anguria stretta tra le gambe di una porno attrice, ci fa già capire che i percorsi non possono essere lineari, che le strade per arrivare sono cosparse di ostacoli e di finzioni. Non ci sono parole per dire le cose, non resta che affidarsi alle emozioni, riconoscere quello che si ha davanti agli occhi solo dopo averlo visto sullo schermo. È sempre il solito problema di dove va posizionata la macchina da presa, il cinema porno la mette davanti alle cose, Tsai Ming-liang la sposta di novanta gradi: le cose che accadono ci accadono affianco, non c’è contrapposizione tra noi e loro, c’è un dialogo che, appunto, le sole parole non riescono a riempire. Ci impiegherà del tempo la bella Lee, per capire che tipo di lavoro svolge adesso, proprio sopra il suo appartamento, il fidanzatino, sempre intento ad aprire una valigia che non si riesce, e non si riuscirà a scardinare. Ci impiega del tempo, per vederlo all’azione, per trovarlo di fronte a se, per arrivare all’urlo finale, straziato, sgraziato, pieno di voglia e di dolore, e per trovarsi lei, piena di altra voglia e altro dolore, in una sequenza finale interminabile, deep throath che ammutolisce, dal sonoro frastornante. Forse qualcuno griderà allo scandalo (comunque il film, in sala, è targato Mikado), per qualche scena troppo esplicita, per gli spermatozoi in primo piano lanciati contro una porta a vetri o sulla faccia di un attricetta. Forse qualcuno griderà allo scandalo per la messa in scena di una sessualità non riproduttiva, le cui tracce esteriori possono essere cancellate con un po’ di carta igienica, o per la violenza sulla porno star giapponese paralizzata, simbolo che l’amore non si fa solo con i corpi, ma anche con gli occhi e col desiderio, e che il proprio corpo, gli altri corpi, sono solo mezzi per arrivare (se è permessa la citazione clerico/nazional popolare) “là, dove ci porta il cuore”.

[febbraio 2005]

regia: Tsai Ming Liang sceneggiatura: Tsai Ming Liang fotografia: Pen-jung Liao montaggio: Chen Sheng-Chang interpreti: Lee Kang Sheng, Chen Schang Chyi, Lu Yi-Ching, Yang Kuei-Mei, Sumomo Yozakura distribuzione: Mikado durata: 112’ origine: Taiwan, Cina, Francia 2004

Enregistrer au format PDF