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The woman in black

Pubblicato il 2 marzo 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


The woman in black

Porte che cigolano sinistre. Ragnatele fitte come zucchero filato e da tempo abbandonate dagli stessi ragni in cerca di dimore meno cupe. Figure indistinte sullo sfondo che si muovono nella terra di nessuno del fuori fuoco. Scricchiolii inquietanti che attraversano d’un brivido le schiene e carillon che ticchettano i loro tristi motivi nottetempo, quando i bambini sono già immersi in un sonno senza sogni. E poi fruscii di vestiti che sprofondano nel buio del silenzio e bambole muffite, tazzine di tea e cimiteri sotto casa. E ombre. Tante ombre. Fantasmi già in vita. Figurarsi dopo, quando la triste mietitrice s’è fatta compagnia di giochi.
L’armamentario dell’horror vittoriano c’è tutto nella cura maniacale della sagra del datato. Nessun ingrediente manca all’appello: dalla casa isolata ad un passo della palude alle morti inspiegabili, dai sospiri notturni alle porte che sbattono e non c’è un filo di vento. The woman in black nasce da un vecchio baule della zia, prende corpo, evanescente, dalle vecchie foto dell’album dei ricordi. È pieno di polvere come un libro vecchio che neanche ti ricordi se hai letto e che ti sfogli con quella strana impressione che a girar troppo in fretta le pagine la carta potrebbe cedere in briciole illeggibili.
Non è brutto The woman in black. Te lo guardi tutto con tanta tensione, ma hai l’impressione ad ogni passo che ti colpiscano più i dettagli d’antiquariato che non la storia che avanza passo passo senza che tu senta davvero bisogno di arrivare all’epilogo. Ti colpisce la cura degli arredi che sembrano di legno vero, di quello che ti pare freddo e pesante d’umidità al tatto stanco. E ti colpisce l’ansia del paesaggio, bello, infinito, esso stesso un film dell’orrore prima che arrivino le macchine da presa ad immortalarlo ad uso della produzione. Ti colpisce l’incredibile solitudine delle case abbarbicate alla collina, dei bambini che guardano il mondo da dietro vetri che non li proteggeranno mai dal male insinuante, e del personaggio, unico al centro della scena, chiuso nel dolore senza nome di un eterno primo piano. Soprattutto ti colpisce questa inedita cesura tra personaggio, attore e paesaggio con Daniel Radcliffe che è davvero bravo fuori da Harry Potter anche se il copione lo costringe all’occhio triste del disegno di un bambino che non vede più la luce. L’attore è scelto bene perché in fondo agli occhi blu ha la stessa ansia del mare che nasconde segreti e la stessa viscosità della palude che non restituisce alla terra i morti più innocenti. Perfetto per il candore di una parte che non sembra troppo adulta per uno che è uscito dalla scuola di stregoneria neanche un anno fa. E noi sappiamo che non gli facciamo degno servizio quando citiamo il suo ruolo più famoso visto che tanto bene se l’è scrollato dalle spalle.
The woman in black, in fondo, è bello nel suo essere datato. Nasce vecchio, come Benjamin Button, ma non diventa giovane neanche quando si inventa la scena della restituzione del corpicino del bambino alla Lady fantasma vindice che sembra presa da The ring. L’omaggio all’horror giapponese che respira qui e lì come bisogno di un aggiornamento per star dietro ai fans è appena una parentesi, come lo sono gli spaventi di pancia, le improvvise apparizioni alle spalle dell’eroe, quei momenti che in musica si accompagnano con strappate dell’orchestra.
Per il resto c’è il bisogno di scavare nella memoria di un cinema che spaventava in atmosfera. Dove il non visto faceva più spavento del visto. E dove il buio ha la sua parte insieme con luci e polvere. Un horror letterario, insomma, che lascerà, forse, poca traccia, ma che qualcosa vale, in fondo.


CAST & CREDITS

(The woman in black) Regia: James Watkins; sceneggiatura: Jane Goldman; fotografia: Tim Maurice-Jone; montaggio: Jon Harris; musica: Marco Beltrami; interpreti: Daniel Radcliffe, Ciarán Hinds, Janet McTeer, Mary Stockley, Roger Allam, Sophie Stuckey, Sidney Johnston, Alica Khazanova, Victor McGuire; produzione: Alliance Atlantis Communications, Alliance Films, Cross Creek Pictures; distribuzione: Videa Cde; origine: Regno Unito, Canada, 2012; durata: 95’.


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