Ti stramo

Il bel tenebroso che piace tanto alle ragazzine se ne sta davanti ad una macchina da presa che lo riprende in primissimo piano. Sguardo truce, un po’ strabico, fisso negli occhi adoranti della platea. E naturalmente la pioggia che scroscia puntuale sulle disavventure di una vita bruciata nella tragedia, inondando l’inquadratura ed impastando i ciuffi ribelli che fanno tanto teppista da strada. Sotto il margine inferiore del quadro indoviniamo la presenza di una giacca di pelle, una maglietta aderente sul muscolo di chi è abituato a far colazione con pane e flessioni ed un paio di jeans sdruciti, necessari a cavalcare la classica moto che fa tanto ribelle. Eppure, proprio lì, dietro le lenti a contatto d’occhio chiaro di uno che non può indossare gli occhiali quando ad ogni inquadratura “intensa” piove, ci indovini il cuore d’oro, il sentimento di chi ha tanto patito e si illude di poter rendere al mondo pan per focaccia. A muso duro, senza dover chiedere quelle scuse che nessuno ti ha dato quando eri tu a star male. Meno mostruoso, in fondo, di quelle odiose parioline (ché se è vero che tutto il mondo è paese, questo paese non può che essere il ben noto quartiere romano) che in testa ci han solo sesso e voglia di avventura per l’avventura. Ragazzette imberbi, tutte silkepil, che passano le ore a darsi cento colpi di spazzola ai capelli (e non uno di meno) e che dietro gli occhi ci indovini solo vizio di chi è abituato ad aver tutto al solo chiederlo con vocetta querula e petulante.
Questo in fondo lo stereotipo mocciano dell’uomo da amare, ma che se lo tocchi un po’ ti brucia perché è più vero dei compagni di classe plastificati che incontri ogni giorno a lezione. Fortuna, allora, che piova sempre su questo bel fusto, in modo da attutirne i bollori e l’inconfessata tragedia che sta tutta, potete giurarci, proprio nell’infanzia. Magari nel rapporto con la madre che si è rivelata cruda ingannatrice come tutte le donne che, alla fine, l’uomo lo sfruttano e poi la buttano via come una buccia di banana sulla quale scivolerà qualcun’altra. Riccardo Scamarcio, suo malgrado, ne ha fatto un campione di strana disumanità: sguardo (s)bieco, due parole due di vocabolario, ma, dietro il ricciolo, la sofferenza autentica dei baci perugina scartati troppo in fretta. Uno stereotipo che a prenderlo in giro dovresti sentirti come il franco tiratore che spara sulla croce rossa.
E infatti che ti fa Pino Insegno? Non lo trasforma in oggetto di parodia, te lo prende così com’è e te lo piazza lì come il resto di pasti migliori su una tavola imbandita con resti d’altro cinema. Se ti fa ridere non è colpa sua. T’avrebbe fatto ridere anche in Tre metri sopra il cielo se avessi pensato per un momento che avere un amico che si chiama Pollo significa avere Amadori sotto casa. E quando il bel Scamarcio ti piange per la morte di Pollo… suvvia come si fa a restare seri?
La stessa domanda ti si pone per Scusa, ma ti chiamo amore. Perché l’idea che le amiche ti cantino in coretto la canzone preferita mentre tu te ne stai in coma ha già in sé il germe del ridicolo. Non la devi mica forzare per rendertela buffa, basta che ci fai passar vicino il Dottor House, con tanto di bastone a martellare sul trio canoro.
Così Pino Insegno ti prende gli archetipi del nuovo filone adolescenziale e te li mette in bella fila consapevole che la loro assurdità parlerà per loro. Lui si nutre di quei film in cui quando vedi un primo piano di un bel tomo in ospedale che si gira verso la macchina da presa sai già che avrà uno degli occhi solcato da lacrime di nerofumo. Un mondo che quando c’è un brutto anatroccolo che incontra la fata dei desideri sai già che è destinato a diventare un cigno tanto bello quanto stronzo (salvo poi ravvidemento nel finale). Un mondo di Notte prima degli esami dove la canzone è sempre colonna sonora della vita e il desiderio è sempre il principe azzurro che ti porti a letto senza se e senza ma.
Questo mondo Pino Insegno te lo prende e ci ricama sopra una fantasia alla Scary movie tutto citazioni ed ammiccamenti ad un pubblico che magari non si accorge neanche di essere preso in giro.
Tanto negli strali ci cade anche il personaggio Muccino che si fa di canne da mattina a sera e che si crede superiore a tutti sulla base di un intellettualismo d’accatto che è tanto luogo comune quanto il bel tenebroso Scamarcio.
La fantasia di Insegno corre a briglie sciolte senza farsi troppi problemi, ma cade qua e là in qualche momento di stanca. Ciò non di meno trasuda un’intelligenza che a Moccia manca. Per questo incasserà di meno, ma non durerà di più. Ti stramo è un film vampiro, che si nutre del sangue marcio di un genere che non durerà oltre il volgere del decennio. E con questo tramonterà al pari degli eroi di Twilight, scendendo nella bara. Oggi fa ridere, specie chi i film alla Moccia se li è dovuti sorbire. Quando quei film non saranno più neanche un ricordo, allora anche il film di Insegno, destituito della sua funzione catartica di critica ad un sistema, scenderà nella tomba, dimenticato. Ma per adesso lo ringraziamo di averci regalato qualche minuto di divertimento finalmente non volgare. Era a questo, in fondo, che puntava sin dall’inizio.
(Ti stramo - Ho Voglia Di Un’Ultima Notte Da Manuale Prima Di Tre Baci Sopra Il Cielo); Regia: Gianluca Sodaro, Pino Insegno; sceneggiatura: Francesca Draghetti; fotografia: Massimiliano Trevis; montaggio: Gianfranco Amicucci; musica: Guido De Angelis, Maurizio De Angelis; interpreti: Marco Rulli (Stram), Carlotta Tesconi (Bambi), Stefano Pinto (Tacchino), Emanuela Aurizi (Robertina), Ughetta d’Onorascienzo (Didi), Teresa Battaglia (Giuggiola), Matteo Ripaldi (Alberto), Alessando Bardani (Stefano), Raoul Bova (Il dottore), Franco Nero (Il barbone), Daniele Formica (Il subumano), Pino Insegno (Extramarcio); produzione: Dap Italy, Mikado, Fabrizio Politi Productions, La dolve vita Productions; distribuzione: Mikado Film; origine: Italia, 2008; durata: 89’
