TIME

C’è molto probabilmente una celebre tela di René Magritte dietro il tredicesimo, e di nuovo controverso, lungometraggio firmato da Kim Ki-duk. Il dipinto, intitolato Les Amants (Gli Amanti), ritrae un uomo e una donna i cui visi sono avvolti - dunque celati allo sguardo - da un lenzuolo che li tiene avvinti in un bacio dal sapore ultraterreno. Già in precedenza l’autore coreano, grande cultore di arte moderna (che ha studiato a Parigi), aveva tratto spunto dalle storie suggerite in nuce da quadri famosi di inizio Novecento. Era il caso dello splendido Bad Guy, ispirato agli strazianti nudi di Egon Schiele, come confidava il regista stesso. Si dovrà ammettere a malincuore, però, che siamo piuttosto distanti dai vertici di quell’arte. Inaspettatamente opaca stavolta perfino la regia di Kim, qui un po’ “tirata via” e meno cura formale del solito dispiegata anche nella composizione dell’immagine: non ci troviamo nella fase realizzativa migliore di questo prolifico (troppo?) cineasta.
Ora, secondo lo storico dell’arte Robert Hughes: “Le raffigurazioni di Magritte erano prima di tutto storie”. Possedevano cioè una qualità narrativa rara rispetto alla produzione coeva e trovano oggi, a ben guardare, un corrispettivo filmico impressionante nell’opera complessiva di Kim Ki-duk. Nel cinema di quest’immaginifico autore, difatti, ogni inquadratura pare acquisire vita silenziosa e raccontare una storia segreta, indipendente dalla grande trama della tela.
Questa è ancora una volta poco ortodossa e prende le mosse dall’autentico terrore che pervade la protagonista, una ragazza pur bella e tuttavia paralizzata alla sola idea che il suo uomo possa essersi stancato di lei e preferirle altre donne. La gelosia ossessiva che la divora, mentre la rende naturalmente invisa agli occhi del compagno, si frappone giorno dopo giorno fra di loro come un ostacolo insormontabile. Fin qui, la storia, come si vede bene, assume caratteri più o meno comuni e universali. Poi però interviene l’innesto di quella variabile bizzarra che Kim ama inserire nel tessuto caldo delle sue storie: la donna decide di risolvere l’impasse che la tormenta rivolgendosi ad un chirurgo estetico che dovrà trasformarla letteralmente in un’altra donna, rifacendole daccapo i connotati. La naturale reazione ingenerata nello spettatore è nuovamente quella di inorridire di fronte all’ennesimo gesto (ma solo a prima vista) sconsiderato di un personaggio di Kim. “Dopo una lunga relazione, non è l’amore che si è deteriorato, ma il battito dei loro cuori, la sintonia, la passione e il desiderio che nutrono l’uno verso l’altra. Io sto ponendo loro una domanda. Una domanda assurda”. Stavolta è dunque questo il movente del regista.
L’autore immagina anche che il suo protagonista sia il montatore del precedente Ferro 3. Un filo invisibile lega Time a quel capolavoro. Il luogo. Il tempo. Come incidono sull’amore, come possono cambiarlo, trasformarlo. Ritorna pure il motivo del fantasma, l’unica forma che consenta di “concepire” l’amore, sfuggendo a tutti quelle coercizioni di cui l’esistenza umana sembra essersi dotata.
Kim riallaccia dunque i nodi della sua indagine impietosa, mai interrotta, intorno ai comportamenti più irrazionali della natura umana. Ama porre i suoi personaggi in condizioni psicologiche estreme, tendere le loro corde segrete del loro spirito per farne risuonare le note più autentiche, più pure. Kim ha depositato spesso al centro delle sue immersioni nella psiche umana il grande motivo della crudeltà dell’amore come chiave di lettura privilegiata per tentare di scandagliare gli abissi dell’umana perversione. Stavolta mischia insieme le carte e lega quel tema a quello del tempo che fugge via inesorabile, insensibile ai desideri del cuore: scolpire il tempo, poterlo raffreddare, o meglio ancora, congelare una volta per sempre. Epperò, ironia della sorte, la grande tragedia degli esseri umani deriva dal fatto che sono proprio i loro cuori ad essere mutevoli. La felicità scivola via tra le dita. Non c’è modo alcuno di arrestarla, di interrompere il corso del tempo. Che per Kim, continua a scorrere circolarmente.
(id.) Regia: Kim Ki-duk; soggetto e sceneggiatura: Kim Ki-duk; fotografia: Sung Jong-moo; montaggio: Kim Ki-duk; musiche: Noh Hyung-woo; scenografie: Choi Keun-woo; costumi: Lee Dah-yeon; interpreti: Sung Hyun-ah (See-hee), Ha Jung-woo (Ji-woo); produzione: Kim Ki-duk; distribuzione: Mikado; origine: Corea del Sud 2006; durata: 98’
