TOM WHITE

«Se non hai una casa, è come se non avessi un nome».
«A cosa servono i documenti? Non vi basta la mia faccia? Io so qual è il mio nome: questo solo vi dovrebbe bastare!».
Un giovane sale sulla macchina di un nuovo cliente. Un uomo inietta eroina nel braccio di una donna compiacente. Un anziano malinconico guarda dalla finestra di casa sua. Dei ragazzini sniffano colla. Questa è la notte di Melbourne.
Ma su Melbourne sorge anche il sole. E il sole, come ogni giorno, entra nelle camere dei coniugi White e dei loro due pargoli, da sempre amorevolmente gli uni accanto agli altri. Il pater familias Tom (Colin Friels) lavora nello studio di un architetto. Da tempo immemore si sta dedicando all’edificazione di un quartiere residenziale, Clearwater Falls. Ma da tre settimane il suo capo lo ha estromesso dal lavoro, ormai affidato in toto a un geniale giovane rampante architetto. E questo Tom lo sa. Ma lui continua a lavorare su Clearwater Falls, non pensando ad altro. Quando il suo diretto superiore gli suggerisce di prendere un periodo di riposo, Tom si ribella, viene scosso da un esaurimento nervoso e decide di fuggire da tutto e da tutti, in primis da se stesso.
E il cinquantenne Tom diventerà un novello Ulisse, sperduto nella faccia nascosta della città, della quale lui, fino ad allora, probabilmente non conosceva neanche l’esistenza.
Matt è giovane: ed è povero, gay, depresso e farmacodipendente. Tom lo incontra in un bagno pubblico, malconcio: lo aiuterà a tornare a casa. Vivrà da lui per un po’; rifiuterà un rapporto d’amore completo, preferendo l’amicizia. Ma verrà poi gentilmente messo alla porta, venendogli preferito il boyfriend amato da Matt.
Christine lavora in una fiera. E’ una ex eroinomane, perseguitata dal suo ex pusher, con tanto di feroce rottweiler sempre al seguito, che vorrebbe continuare il loro rapporto sadomasochistico. Lei si innamorerà del sempre più poetico e bislacco Tom: lui contraccambierà solo con un po’ di sesso e affetto, gettando la donna nella disperazione. Ma Tom, prima di andarsene definitivamente, le salverà la vita.
Malcolm è un uomo anziano: da molto tempo fa la vita da clochard. Prende Tom sotto la sua ala protettiva e gli insegna a vivere. Prima di morire gli lascerà le chiavi di casa: una magnifica topaia dentro uno scalo merci, con vista sui binari.
Infine Jet: ha dodici anni, è figlio di un ladro di professione; è più maturo della sua età; la notte è libero di girare per i quartieri più malfamati, a dipingere i muri di graffiti e a respirare colla.
Tom finirà in prigione, per poche ore, non per colpa sua. La polizia tenterà di convincerlo a tornare dalla sua famiglia, ma lui si rifiuterà; almeno ancora per un po’. Perché solamente quando arriverà il momento giusto, tornerà dai suoi. La sua piangente Penelope lo perdonerà. E lui potrà tornare nella sua casa e riacquisire il suo nome; ma non sarà più la persona di una volta. Ne siamo sicuri, perché è quello che ci racconta l’ultima inquadratura: un uomo invecchiato, che non si è svegliato presto come avrebbe fatto nella sua vita precedente, seduto al tavolo della cucina, con lo sguardo malinconicamente pensieroso, diretto verso il nulla, e che mai dimenticherà quello che ha vissuto.
Tom è deluso dal non essere riuscito ad esaudire il suo sogno: diventare un architetto, ossia un artista che realizza opere funzionali e fruibili per la collettività. Come unico ricordo della sua prima vita, però, gli rimane la capacità di disegnare: ma ora può ritrarre chi vuole lui, senza la costrizione del tornaconto economico, solo per ricevere sorrisi e parole dolci. E proprio i ritratti dei suoi compagni d’avventura saranno il lascito visibile della sua esperienza: volti che hanno un nome solo per chi la ha conosciuti. E’ questo il riscatto di Tom.
E’ possibile ritenere Tom White simile e inverso a un capolavoro di Pier Paolo Pasolini: Teorema. Il nostro poeta nel 1968 si scagliava contro l’Illuminismo razionalistico borghese, che da sempre ha cercato di fagocitare il Diverso, prendendo da esso ciò che è utile alla sopravvivenza dell’ordine instaurato. Tom è un sofferente piccolo borghese, lui stesso assimilato e purtroppo - come ognuno di noi - facilmente assimilabile, nei suoi sogni e bisogni, a una struttura reticolare che ci sovrasta tutti, e che si sorregge solo grazie alle caselle nelle quali ognuno di noi vive: reticolato nel quale è immesso a forza anche chi lo contesta, essendo egli già previsto, come ipotesi, dal sistema stesso.
L’Ospite pasoliniano non contesta, ma neanche partecipa alla messa in scena borghese, riuscendo così a scardinarla; Tom contesta l’ordine borghese, ma dal punto di vista borghese, ovvero pensando di potersene tirare fuori. Tutti e due scatenano l’attrazione in chi entra in contatto con loro: ma Tom si rifiuterà di non assecondare la sua unica inclinazione sessuale, negandosi l’esperienza del Tutto.
Anche Tom è un Angelo, ma non Sterminatore; distruggerà solamente l’immagine di sé che lui stesso ha contribuito a costruire negli anni, in accordo con il ruolo datogli dalla società: padre, marito, lavoratore.
Tom pian piano si spoglia dei suoi vestiti per indossare quelli di un clochard; come San Francesco e il Padre in Teorema (interpretato da Massimo Girotti), ma diversamente da loro: non avrà bisogno di regalare denaro, per donare se stesso.
Tom White è un film sincero, e questo vuol dire molto. Ha le connotazioni di una fiaba con intenti moraleggianti, ma non dimentica un approccio realistico alla materia trattata. E’ un film che veleggia di continuo fra la commedia e il dramma, arricchito dalle rappresentazioni dell’amore e dell’odio, giustamente considerati come i collanti fra gli individui, con in più un basso continuo di profonda malinconia che asseconda, fino a sottolinearlo, lo sradicamento di molte nostre certezze, con l’inevitabile perdita che ne consegue.
E’ da ricordare, in modo particolare, la performance di Colin Friels: perché sa instaurare un necessario rapporto di empatia con gli altri personaggi e con il pubblico, perché sa passare con nonchalance dalla malinconia alla rabbia, e perché sa condurci nei meandri della perdita del Sé, dismettendo l’abito con il quale il senso comune veste se stesso e ognuno di noi.
(id.) Regia: Alkinos Tsilimidos; soggetto: Alkinos Tsilimidos e Daniel Keene; sceneggiatura: Daniel Keene; fotografia: Toby Oliver; montaggio: Ken Sallows; musica: Paul Kelly and & The Boon Companions; scenografia: Dan Potra; costumi: Jill Johanson; interpreti: Colin Friels (Tom White), Rachael Blake (Helen White), Dan Spielman (Matt), Loene Carmen (Christine), David Field (Phil), Bill Hunter (Malcolm), Jarryd Jinks (Jet); produzione: Fandango Australia e Rescued Films; distribuzione: Fandango; origine: Australia 2004; durata: 106’; web info: sito Fandango.
