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Torino 32 - Abacuc - Onde

Pubblicato il 29 novembre 2014 da Alessandro Izzi


Torino 32 - Abacuc - Onde

Abacuc non è un film.
Piuttosto è una scacchiera che, animata, ci mette di fronte ad una strana partita a scacchi con la morte. Un settimo sigillo che, dodecafonico e mai triste, racconta, come tutta l’arte più grande dovrebbe sempre saper fare, il lento svanire nel nulla, il progressivo dileguarsi della forma, il trionfo dell’entropia che ci riporta in seno al nulla.

Bianchi e neri qui si fronteggiano in coppie speculari secondo un principio evidente sin dalla scelta della fotografia che rifiuta le lusinghe del colore per diventare astratta e concreta al tempo stesso.
Allo stesso modo anche il tessuto filmico si riempie di doppi: due scheletri, due voci (una maschile e l’altra femminile), due idiomi (italiano e inglese), due personaggi fantomatici che parlano al telefono.
E la parola stessa, usata qui in chiave ironica e musicale, lega la sua carica semantica al gioco paradossale che inanella contraddizioni logiche (Sono Igor Stravinski e Igor Stravinski è morto), semplici contrapposizioni manichee (destra/sinistra, fascista/comunista) o massime proverbiali di sapore quasi surrealista (Chi ascolta musica jazz soffre di eiaculazione precoce).

Il film si fonda sull’alternanza calcolata di pieno e vuoto. Il pieno della vita è il vuoto della morte, condizioni speculari ed ugualmente necessarie dell’esistere.
Anche la musica, parte fondante dell’intero progetto estetico, si compone secondo questa partitura di assoluti. Ripetitiva, disegna campate, stabilisce blocchi, scolpisce sezioni. Quando lavora su brani d’opera del passato, li priva della melodia (che resta spesso un ricordo distorto in sottofondo) e ne lascia declamare i testi dalle voci sintetizzate, facendoli così diventare estranei ed enigmatici nelle loro strane ripetizioni che in musica avevano un senso e ora non più.
Messa a morte della musica, ma anche delle ideologie e dei pensieri che hanno animato il secolo passato nelle quali il film poco si riconosce.
Perché quest’opera non è post moderna ne minimalista, non è dadaista ne surrealista e non è bianca o nera perché una scacchiera è, in fondo, sia bianco che nero in una calcolata alternanza di quadrati.

Tra il pieno di qualcosa che succede e il vuoto di qualcosa che non succede, essa resta nell’eterno di "qualcosa succede continuamente". Condizione, in fondo, del cinema stesso che è continua ripetizione, replicabilità infinita di un’azione che c’è e non c’è, che forse c’è stata, ma adesso è solo simulacro manipolabile e deformabile.

Abacuc è un oggetto cinema di difficile definibilità. Vecchio e nuovo, originale e ricalco di una condizione artistica che riflette su se stessa all’infinito con autoironia e smarrimento.
Canta la fine di un mondo, il crollo di un palazzo, la fine di un linguaggio e ci lascia a confrontarci con le lapidi.


CAST & CREDITS

(Abacuc); Regia, sceneggiatura: Luca Ferri; fotografia: Giulia Vallicelli; montaggio: Alberto Valtellina; musica: Dario Agazzi; interprete: Dario Bacis; produzione: Lab 80 film; origine: Italia, 2014; durata: 81’


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