Torino 32 - What we do in the shadows - Concorso

Immaginate i problemi che possono incontrare quattro vampiri che per ventura decidono di condividere un affitto in una bella casetta di Wellington.
Immaginate il problema di doversi svegliare tutte le sere alle sei con la paura di aprire le tende quando fuori splende ancora il sole e non si è fatta ancora notte.
Immaginate le difficoltà di tenere la casa passabilmente pulita quando anche un semplice spuntino può significare un sacco di sangue in giro se, per caso, si recide troppo in fretta l’arteria principale della vittima.
E immaginate la difficoltà di stare dietro alle evoluzioni del progresso che già corre veloce per noi, figurarsi per chi ha sulle spalle già svariate centinaia di anni.
E pensate infine alle difficoltà di gestire gli incontri fortuiti con quegli antipatici dei lupi mannari che hanno un odore così pungente e la maledettissima abitudine di mettersi a ululare. Sempre pronti ad attaccar briga e a trasformarsi anche se la luna non è piena e il momento è quello più sbagliato.
What we do in the shadows nasce da questa prospettiva giocosa e divertente. Mette in campo una finta troupe di documentaristi (mai inquadrati, ma muniti di croci per proteggersi da eventuali attacchi di fame dei protagonisti) e la mette sulle piste di questi personaggi che marciano in commedia tutto il tempo.
Le dinamiche sono quelle del più classico dei mockumentary, ma portate alle estreme conseguenze di un gioco vorticoso su tutti gli aspetti più o meno connessi al vampirismo.
Del triste succhiatore di sangue ogni elemento sopravvive a questo racconto giocoso tranne forse, strano a dirsi, la sua sostanziale allergia all’aglio.
Ogni dettaglio presta il destro semmai al gioco, allo sberleffo, alla trovata ironica.
E sono davvero infinite le trovate messe in campo in questo gioco gustosissimo che parte dal principio di fare del vampiro un disadattato suo malgrado, uno che, costretto alla vita eterna (almeno fino all’arrivo del prossimo cacciatore di vampiri) è sempre un poco fuori sintonia con il presente.
Dietro lo sberleffo si nasconde quindi un sentimento del contrario che rende l’operazione meno spensierata di quanto non appaia, riempendola di una strana empatia.
Perché non stentiamo a immaginare che gli autori, nell’inventare questi personaggi se ne siano a un certo punto innamorati e questo sentimento arriva fino al pubblico che passa dall’iniziale simpatia ad uno strano affetto che lo accompagna fino a fine proiezione, oltre la divertente sequenza posta alla fine dei titoli di coda.
Il gioco sugli archetipi vampirici è, comunque, tanto letterario quanto cinematografico. E lo schermo sembra animarsi di un soffio di carta e di vecchi volumi polverosi oltre che delle necessarie citazioni ai classici del genere (da Murnau a Coppola).
La qual cosa stacca il divertimento dal mero campionario cinefilo per renderlo un’operazione più complessa ed intrigante la cui riuscita dipende anche dalla straordinaria autoironia degli attori e da una quantità di effetti speciali di ottimo livello.
Un simpatico traguardo della produzione neozelandese post Peter Jackson.
(What we do in the Shadows); Regia, sceneggiatura: Taika Waititi, Jemaine Clement; fotografia: Richard Bluck, DJ Stipsen; montaggio: Jonno Woodford-Robinson, Yana Gorskaya, Tom Eagles; musica: Plan 9; interpreti: Jemaine Clement (Vladislav), Taika Waititi (Viago), Jonathan Brugh (Deacon), Cori Gonzalez Macuer (Nick), Stuart Rutherford (Stu), Jackie Van Beek (Jackie), Ben Fransham (Peter); produzione: Defender Films, Unison Films; origine: Nuova Zelanda, 2014; durata: 90’
