TORINO FILM FESTIVAL 2006 - CONCORSO - RAY-E BAZ - PAROLE

“Ray-e Baz” è un termine che in Iran indica l’uscita dal carcere durante il weekend. Questo permesso viene accordato a Saber, in prigione da nove anni. Appena fuori dalla prigione, straniato e sperduto, si reca subito a Teheran con il suo amico ed ex compagno di cella, lo “zio”. Saber vuole uccidere Safir, vecchio socio da cui è stato tradito.
Saber fa contemporaneamente i conti col proprio passato, incontrando le persone che un tempo gli erano vicine, come il suo antico amore Raheleh, che vuole fuggire via dall’Iran, o la sorellastra Sabri. Si tratta principalmente di donne, combattute tra il ricordo dell’affetto che provavano per lui e il desiderio di allontanarsene definitivamente. Questi incontri concorrono a creare in Saber una rinnovata visione dell’esistenza e del senso della propria vita.
Il film, vietato in Iran, vuole affrontare la realtà più miserabile e corrotta del Paese: gli uomini e le donne di Ray-e Baz, immersi nell’illegalità e nel malessere sociale, portano dentro di loro un carico di sofferenza insopportabile e ciascuno si confronta con esso come può, a suo modo. C’è chi, come “zio”, si perde tra i traffici e le donne, ostentando uno spirito leggero che in realtà non può possedere. C’è chi vuole andarsene via dall’Iran, per fuggire dalla miseria in cui si trova immerso. Saber invece non sa come affrontare il proprio dolore profondo, e, senza agire, accoglie le confessioni delle persone che lo circondano: solo quando ascolta e conosce l’esperienza degli altri, può intraprendere un autentico percorso di cambiamento, poiché è costretto a relazionare la propria vita a quella altrui, ad uscire dalla solitudine interiore in cui si era asserragliato. La sua ricerca, tesa a riallacciarsi al suo passato, lo porta a rileggere tutta la propria esistenza e a scoprirne la verità intrinseca.
Purtroppo, però, ciò che vi è di più bello nel film è rappresentato dalle intenzioni: la volontà di affrontare un discorso profondo sulle condizioni dell’Iran o di raccontare una storia sul perdono e sulla colpa restano solo abbozzi in un film che non riesce mai a scavare in maniera credibile sotto la superficie delle cose. Si oscilla tra un’inoffensiva registrazione degli eventi e il tentativo poco convincente di mostrare quel carico di dolore cui accennavamo prima: i dialoghi non riescono a scuotere, spesso appaiono fiacchi o, ancor peggio, retorici. E sì che proprio per mezzo di essi si vorrebbe comunicare principalmente il dolore interiore dei personaggi.
Le musiche ridondanti e un uso eccessivo dello zoom (che vorrebbe sottolineare la drammaticità di una certa situazione) contribuiscono a rendere l’opera debole e inefficace, oltre che eccessivamente naif.
(Ray-e Baz) Regia, scenografia, costumi, produttore: Mehdi Nourbakhsh; sceneggiatura: Mehdi Nourbakhsh, Reza Kianian; fotografia: Farshad Bashirzadeh; montaggio: Mehdi Nourbakhsh, Maysam Kamali; musica: Arman Mousapour; interpreti: Reza Kianian, Majid Moshiri, Mehdi Ahmadi, Negin Sedgh-Gouya; origine: Iran, 2005; durata: 96’
