Tournée

Tanti colori, tanti personaggi stravaganti, ottimi interpreti, un interessante spunto di base. Peccato però che il Mathieu Amalric regista e sceneggiatore non abbia ancora la maturità, l’esperienza, la forza dell’Amalric attore. A Tournée, quarta prova dietro la macchina presa per lo straordinario protagonista di Lo scafandro e la farfalla, manca infatti una mano registica solida e convinta (nonostante al Festival di Cannes abbia ricevuto il riconoscimento proprio per la messa in scena) e una sceneggiatura compatta. Gli ingredienti ci sono tutti per un buon film, ma a volte, come anche in questo caso, nonostante il risultato sia comunque apprezzabile e relativamente convincente, non sono abbastanza. A parte un inizio coinvolgente, l’autore non riesce più a seguire le indicazioni della ricetta di base, e per paura che il piatto venga sciapo, privo di retrogusti sorprendenti e di quel sapore che rimane a lungo sul palato, mescola di continuo gli stessi ingredienti e aumenta consistentemente le dosi arrivando così a sfornare una pietanza dal bell’aspetto e dal profumo prelibato ma in realtà pesante e alla lunga stucchevole.
Verrebbe da dire: uno di quei film francesi come se ne vedono tanti. Ma in verità non è così. Anzi. Amalric firma un’opera che di “propriamente francese” – cinematograficamente parlando – ha ben poco al di fuori della figura del protagonista, da lui stesso interpretato: solo, insoddisfatto, alla ricerca di un senso di vita dopo aver distrutto famiglia e carriera, il suo Joachim è un ex produttore televisivo che a seguito di un esilio volontario negli Stati Uniti torna in patria per una bislacca tournèe con artiste americane di New Burlesque. Ed è proprio questo contesto ad impreziosire il racconto, perché più che allontanarlo dalle solite atmosfere francesi, lo contamina con nuove ispirazioni, ne amplia lo sguardo, lo insaporisce con richiami non del tutto involontari al cinema di grandi maestri. Non solo Amalric, attraverso una narrazione corale che ruota attorno al mondo dello spettacolo, sembra continuare in modo personale il discorso filmico di Altman da Nashville fino a Radio America, ma soprattutto il girovagare del produttore con la sua compagnia riporta immediatamente la mente al nostro Luci del varietà. E’ a tratti molto felliniana l’aria che si respira in Tournée, non esclusivamente per l’affinità narrativa, ma anche per la fisicità delle protagoniste, per la loro essenza “verace”, per la femminilità che esplode dalle loro forme imperfette ed esagerate, per la loro genuinità a volte inopportuna, per l’energia che sprigionano sullo schermo.
Il film di Amalric però si ferma qui e non riesce a sfruttare fino in fondo questi elementi. Il racconto già dopo mezz’ora si fa eccessivamente ripetitivo, i personaggi non evolvono, la storia non ingrana mai una marcia maggiore. Non c’è ritmo, l’inventiva si fa via via sempre più scarna e la magia finisce presto. Colpa di una sceneggiatura che si sofferma troppo sulle psicologie, dimenticandosi di lasciare aria al racconto, e di una regia che non sa dosare la sua creatività.
Recitato in inglese ed in francese, il doppiaggio italiano purtroppo non rende tutte le sfumature della versione originale .
(Tournée); Regia: Mathieu Amalric; sceneggiatura: Mathieu Amalric, Philippe Di Folco, Marcello Novais Teles; fotografia: Christophe Beaucarne; montaggio: Annette Dutertre; suono: Olivier Mauvezin; interpreti: Mathieu Amalric (Joachim), Mimi Le Meaux, Kitten On The Keys, Dirty Martini, Julie Atlas Muz, Evie Lovelle, Roky Roulette; produzione: Les Films du Poisson, Neue Mediopolis Filmproduktion, Arte France Cinema, WDR/Arte, Le Pacte, Film (S); distribuzione: Le Pacte; origine: Francia, Germania; durata: 111’.
