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Toy story 3 - La grande fuga

Pubblicato il 14 luglio 2010 da Alessandro Izzi


Toy story 3 - La grande fuga

I colori accesi, le musiche allegre e i toni giocosi non ingannino: Toy story 3 (che si porta appresso, come tutti i film di questo nuovo squarcio di decennio, le dinamiche del classico terzo episodio passato per la visione stereoscopica del 3D) è un film drammatico e a suo modo testamentario.
Un film, a dirla tutta, centrato sulla figura retorica dell’abbandono coniugato in tutte le sue possibili declinazioni, un piccolo saggio sul cambiamento e sul dolore che ad esso consegue, una pellicola sulla crescita e sull’impossibilità di restare bambini.
Che tutta la parte centrale sia dominata dal genuino sense of wonder di un racconto fantastico quant’altri mai non deve lasciar passare inosservate le due pesanti parentesi che, come morse di delicata angoscia, serrano quello stesso racconto nello spazio astratto di un gioco apparentemente inoffensivo.
Il film comincia e finisce, infatti, un passo al di là dell’infanzia, in quell’oltre che è già l’abitudine del mondo adulto.
Andy non è più il bambino scherzoso e ridente che gioca coi pupazzi e che inventa avventure mirabolanti. È un ragazzo di diciassette anni, con un cellulare e, forse, una ragazza che non ha ancora presentato alla mamma. Un simpatico teen ager americano senza troppi brufoli che si prepara all’avventura del college e che non ha più tempo per sognare (neanche nottetempo) nuove storie per i suoi pupazzi preferiti. Apprestandosi ad abbandonare la sua stanza è più che consapevole di essere sul punto di lasciarsi alle spalle anche giochi e divertimenti. Diventare grande, per lui, comporta l’assunzione di responsabilità che, per un po’, si possono ancora guardare senza troppa convinzione.
Alla richiesta della madre di impacchettare i vecchi giochi e di metterli in soffitta (luogo della rimozione) o di regalarli a qualcuno (scelta dell’altruismo che ci fa già adulti) risponde con l’incertezza di un ancora bambino che vorrebbe prolungare ancora il suo stato infantile. "Non scelta", in fondo, che sta tanto nell’indolenza con la quale muove fa penzolare ancora le gambe dalla sedia quanto nella decisione di portarsi ancora al college almeno il suo cowboy di pezza. Un frammento di infanzia da portarsi nel mondo adulto magari poi per vergognarsene coi nuovi compagni d’avventure con cui condividere problemi ben più seri come le prime cotte e i primi amori.
Crescere è andare oltre, è porsi in una posizione di irreversibilità che ci fa percepire anche la nostra stessa infanzia come qualcosa d’altro. Un processo che ci rende estranei a noi stessi e che ci fa guardare ai bambini come ad un qualcosa che noi non siamo più. Un fenomeno da osservare dalla finestra, di lontano, come un sublime kantiano del quale abbiamo perso per sempre la chiave.
Andy guidato dai suoi stessi giocattoli (in un meccanismo di auto consapevolezza che dovrebbe stare nei manuali di pedagogia), sceglie non la strada dell’abbandono, ma dell’elaborazione. I regali che sono stati della sua infanzia e che non sono più parte di lui, non li relega nella soffitta, ma li regala ad una bambina che ne avrà cura. Perpetuando l’infanzia nell’infanzia degli altri mostra il suo altruismo regalando ai giocattoli la loro funzione che è nell’uso. Un giocattolo che non viene giocato è un pezzo di plastica vuoto, adotto solo al mondo del consumismo efficacemente esemplificato nella figura dell’asilo infantile vero e proprio campo di concentramento per vecchio giochi abbandonati dai loro bambini. E il processo di consapevolezza si ribalta (in un trasfert perfetto) sugli stessi giocattoli che smettono di considerarsi “cose di Andy” per scoprire la loro funzione di veicoli della fantasia di ogni bambino.
Sicchè assume contorni magici di sofferta malinconia la scena finale dell’ultimo pomeriggio di gioco di Andy. Non un abbandono, ma un passaggio di consegne che si chiude nell’irreversibilità di un addio e di un’entrata sicura nel mondo del cambiamento.
Non più, forse, happily ever after...


CAST & CREDITS

(Toy story 3); Regia: Lee Unkrich; sceneggiatura: Michael Arndt, John Lasseter, Andrew Stanton, Lee Unkrich; musica: Randy Newman; interpreti (voci edizione americana): Tom Hanks, Michael Keaton, Joan Cusack, Tim Allen, Wallace Shawn, Timothy Dalton, Whoopi Goldberg, Estelle Harris, Jodi Benson, Ned Beatty, Don Rickles, John Morris; produzione: Pixar Animation Studios, Walt Disney Pictures; distribuzione: Walt Disney; origine: USA, 2010; durata: 103’


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