Tra 1 ora e 12 minuti
“ Io sento questo dolore senza fine ”
Tra 1 ora e 12 minuti è lo spettacolo della compagnia Manifatture Knos/Induma Teatro diretta da Werner Waas basato sulle ultime parole affidate ad un video diffuso su internet di Sebastian Bosse, liceale diciottenne che nel Novembre 2006 uccise diversi suoi compagni di scuola nella cittadina di Emstetten, Germania, e su “stralci” del Forganglighet di Lars Norén, testo già ispirato alla vicenda del ragazzo della Westfalia.
Una passerella individuata da due file di lampadine poste sul pavimento è lo spazio dove Lea Barletti interpreta un monologo complicato, invettivo con toni volutamente spenti, pre-dramma interiore di Sebastian che prepara la sua strage, la giustifica. I movimenti e gli oggetti scenici sono pochi, solo un fazzoletto bianco, fermato sulla fronte da una bombetta nera, copre il volto di Lea/Sebastian, identificandosi con un nessuno indefinito. La recitazione è svestita di ogni artificio risultando in questo modo “quotidiana”, la Barletti chiede suggerimenti al pubblico, si interrompe, beve un sorso d’acqua, commenta lo squillare del cellulare di uno spettatore, proprio come farebbe un diciottenne. È chiara la posizione di “vicinanza” del regista verso il ragazzo e contro coloro che hanno deciso come si debba vivere per essere vincenti, per essere considerati, Sebastian vuole eliminare gli autori della sua impossibilità ad essere felice. Ma il discorso non è cosi semplice come potrebbe sembrare: il ragazzo non se la prende con qualcuno in particolare, la sua rabbia è rivolta piuttosto alle persone che rendono la manipolazione delle vite umane un processo storico, una norma di vita. “È strano trovarsi d’accordo con un folle che si accinge a sterminare un’intera scuola” dice Waas, eppure, a ben vedere, si può considerare il gesto di Sebastian come il risultato di una dinamica azione-reazione che si genera all’interno della società, un’azione che si regge sull’apparire, sul consumismo, sulla perfezione formale, contrapposta alla reazione, certo folle e condannabile, ma che porta giustizia, lo sterminio che ricrea l’ordine. Si riparte da zero. Il tentativo di Waas è proprio cercare di ribaltare i poli negativo-positivo, mostrando l’anima nuda e sola (“voi mi guardate e io sono solo, ci sono abituato….va bene così”) di un diciottenne che non è mai stato padrone della sua vita. Avvicinarsi a lui, cautamente, è il grande sforzo che si chiede allo spettatore, il quale per un ora e un quarto di spettacolo deve deporre il pregiudizio dell’adolescente-incompreso, e considerare invece Sebastian come una cellula nel corpo della società, malata e trascurata, la quale poteva solo esplodere, seguendo un copione inconsciamente creato dalla società stessa, che si accorge dei suoi mali solo quando essi fanno i danni maggiori. Ancora Waas: “la sua ingiustizia (del capitalismo, n.d.r.) disumana è la causa del mio sentirmi vicino a questo folle. È straziante il suo essere puro oggetto, anche da morto”. Un oggetto sì, come dice Waas, ma non più da morto perché la morte lo ha inscritto nella mitologia d’oggi, nella tragedia contemporanea. Egli non è un idolo positivo, ben inteso, ma la sua parabola, così penosamente carica di tristezza, disegna una piccola parte dello spirito umano, ne svela uno dei tanti drammi. Lo spettacolo di Waas potrebbe essere scambiato per una propensione pro-strage quando invece prende le mosse da una ricerca filantropica sull’uomo. Certamente è uno spettacolo “rischioso”. Ma anche difficile, estenuante, dato il fragile mix di intensità e durata: una valanga di parole mette alla prova l’attenzione dello spettatore che deve assorbire tutta la carica tragica della volontà di uccidere.
liberamente tratto da Forganglighet di Lars Norén con: Lea Barletti foto di scena: Maurizio Buttazzo regia: Werner Waas web info: Short Theatre, Teatro India, Manifatture Knos