Transformers 3: Dark of the moon

Una delle voci che più ad arte sono state mosse durante la campagna promozionale di Transformers 3: Dark of the moon era relativa al modo con cui Michael Bay aveva reagito alle critiche che avevano accolto l’uscita di La vendetta del caduto.
Leggenda vuole che il regista americano fosse rimasto particolarmente colpito dalle parole di Roger Ebert che avevano liquidato il secondo episodio della saga dei robottoni dalla voce umana e dal cuore di macchina come una fantozziana boiata pazzesca. Non era andato giù, a Bay, che si dicesse, nero su bianco, che la sua fatica, nata tra l’altro all’ombra dello sciopero degli sceneggiatori che aveva attanagliato l’America, era paragonabile al chiasso prodotto da due bambini chiusi in una stanza con pentole e stoviglie a far loro da giocattoli mentre un coro di voci bianche arpeggia su tutti i registri possibili dell’epico patetico.
La stampa non solo italiana è stata solerte nel raccogliere il pettegolezzo. Così, già un mesetto prima dell’uscita, quando le pagine dei mensili dovevano cominciare a riempirsi di immagini e indiscrezioni dal set, ecco che cominciava a spuntar fuori l’idea di un film meditato ed importante.
Per il terzo episodio, l’ultimo di una trilogia (ci si diceva) Michael Bay stava facendo le cose in grande. Tanti effetti speciali, certo, ed un 3D nativo pensato e sognato dagli stessi tecnici che avevano fatto di Avatar un caso cinematografico, ma anche, cosa quanto mai importante, una nuova attenzione alla storia ed ai personaggi. Perché (ci raccontavano i giornali) Bay aveva capito, grazie alle illuminate parole del critico americano e di tutti quelli che, magari per imitazione, ci erano andati giù pesante, che un film non è solo cazzotti, pugni, ragazze da calendario e ferraglia, ma è anche storia, pensiero, riflessione. Insomma: intrattenimento si, ma che sia almeno intelligente!
Girava voce, addirittura, che Transformers 3 dovesse essere un capolavoro, laddove il secondo episodio aveva scontentato un po’ tutti, pur incassando cifre da capogiro.
Nella realtà questa strategia di marketing ha per lo più girato a vuoto. Ed ha ottenuto come unico e deleterio effetto un appiattimento della critica che, a due giorni dall’uscita, ha limitato la sua voce ad un basso continuo riassumibile in: meglio del secondo, con più storia e più commedia. Quasi a sancire il ritorno del figliol prodigo al film dopo che il secondo episodio era stato qualcosa di troppo indefinibile.
Non ce ne voglia Roger Ebert, ma a noi, francamente, piaceva di più La vendetta del caduto, con la sua ridda selvaggia di movimenti convulsi che non questo prodotto che ha una trama certamente molto più pulita e meglio sbozzata, ma che, proprio per questo, mostra meglio tutti i limiti di un regista che non sa tenere le fila di un racconto né sa trasformare le possibili potenzialità di una sceneggiatura in spazi d’autore.
Michael Bay non è un narratore e se passerà alla storia del cinema (e noi pensiamo che un paragrafetto piccolo piccolo se lo conquisterà col tempo, anche se è di quelli che spesso il lettore salta in cerca della fine) non sarà certo per presunte qualità affabulatorie.
Michael Bay, in fondo, non ha neanche leggerezza. Il tocco ironico gli passa tutto per le dinamiche del buddy movie o dello slapstick dove l’umorismo è di grana grossa e passa per la contrapposizioni di caratteri e non certo per un improvviso sentimento del contrario. Transformers 3 fa forse ridere di più del suo diretto predecessore, ma d’un riso triste che si riserva alla barzelletta troppo usurata.
Michael Bay è, invece, un regista dei movimenti, un poeta di inquadrature troppo piene per lasciare posto anche ad una storia. La sua magia, l’autore se la costruisce in un caleidoscopio che frulla anche le suggestioni di un racconto, non sul senso dell’epica.
Il suo cinema vive del rimasticamento dell’immaginario. È cinema del post cinema. Dagli una storia ed ecco che ti si appesantisce. Dagli personaggi a tutto tondo ed ecco che ti si impoverisce. Diventa un semplice blockbuster (mal fatto per di più) quando avrebbe potuto essere qualcosa di diverso, qualcosa capace di lasciare, forse, un segno più profondo.
Oggi Transformers 3 sembra volersi lasciare alle spalle poco più che una città distrutta dalla guerra. Ti colpisce per la ridda degli effetti speciali tutti di altissima qualità. Ti colpisce per il 3D di lusso che veramente ti tieni sugli occhi due ore e passa senza effetti collaterali. Ti colpisce per la passerella dei vari Turturro e McDormand che stanchi attraversano le scena in attesa della pausa caffè. Ti colpisce per un’attrice nuova, Rosie Huntington-Whiteley, sostituta di Megan Fox, che è in lizza per il prossimo Razzie award tanto è bollita. E ti colpisce per Shia Labeouf che invece, di blockbuster in blockbuster, riesce nell’impresa sempre più titanica di rendere credibili dialoghi tagliati con l’accetta. Ma ti colpisce soprattutto per il suo essere un passo indietro rispetto ad un potenziale che resta ancora tutto da esplorare.
(Id.); Regia: Michale Bay; sceneggiatura: Ehren Kruger; fotografia: Amir M. Mokri; montaggio: Roger Barton, William Goldenberg; musica: Steve Jablonsky; interpreti: Shia LaBeouf, Rosie Huntington-Whiteley, Patrick Dempsey, John Malkovich, Ken Jeong, Frances McDormand, John Turturro, Tyrese Gibson, Kevin Dunn, Ramon Rodriguez, Alan Tudyk, Josh Duhamel, Julie White, Frank Welker, James Avery, Peter Cullen; produzione: DreamWorks SKG, Hasbro, Paramount Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2011; durata: 157’
