X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Tron legacy

Pubblicato il 18 gennaio 2011 da Alessandro Izzi
VOTO:


Tron legacy

E l’immagine si fece carne
ed abitò tra noi.
(dal vangelo secondo Tron)

Matrix aveva gettato le basi. Fondamenta possenti d’immaginario che spulciavano i Veda con occhialini new age saltando paragrafi e concentrandosi, quanto più possibile, sulle figure vecchie e nuove di un immaginario precotto e già pronto per lo scaffale dei supermercati.
Preistoria del post moderno, Matrix funzionava perché era nuovo, perché frullava bene il suo mix lisergico di visioni e contemplazioni calibrate al ritmo imponderabile di una danza di pallottole sparate nel vuoto. E la sua linfa se la cercava nel precristiano e anche nel pregiudaico. Prima che Mosè portasse via il popolo eletto dall’Egitto. Prima che Abramo sollevasse la lama contro il figlio prediletto. Prima ancora del diluvio universale e dell’arca che sfidava le acque di un Dio irato.
Flirtava con il buddhismo, Matrix, e con l’induismo. Si rimpolpava di filosofia indiana direttamente nella culla della civiltà mondiale. E ne faceva materia di scene d’azione ad alto tasso d’adrenalina.

Se Matrix era il vecchio testamento della cultura del digitale applicato al cinema, Tron Legacy ambisce, chiaro chiaro, alla posizione della novella istoria. La sua ambizione è chiara sin dalle premesse: un dio creatore spalanca le porte ad un nuovo mondo e lo sottopone alla tentazione di un principio del male. Quest’ultimo, fatto a immagine e somiglianza del motore primo (e sin qui siamo ancora dalle parti del dualismo Buddha-Mara), pensa solo alla distruzione del miracolo che nel frattempo ha preso corpo: un popolo di nativi mai programmati, dotati di libero arbitrio. E la distruzione prende le forme di un flagello biblico, come una strage di innocenti da cui si salva solo uno. Anzi una.
La salvezza giunge dal figlio di dio che è anche figlio dell’uomo. Chiamato in causa dall’aldilà (che è anche il nostro aldiqua), quest’ultimo ritrova il padre, si innamora della bella e risolleva le sorti di questo mondo e quell’altro.
Certo era messianico anche Matrix, ma Tron legacy getta gli indugi e si pone al di qua del guado. Ogni riferimento alle filosofie orientali sta solo nel mondo dei padri. Il dio demiurgo è anche un santone zen (ben lontano dall’Obi One Kenobi del quarto episodio di Star Wars) con tanto di tunica e di profonde meditazioni con cui si spezza la concitazione delle molte scene d’azione. Lo incontriamo ad inizio film che cerca di placare le sue ire soffocando ogni desiderio egocentrato che porterebbe solo rovine ed orrori nella più classica delle posture del loto. Evita lo scontro, pervicacemente desiderato dai cattivi, perché sa che esso significherebbe l’incontro con l’altro se stesso e la morte di tutti, anche del principio nativo che rappresenta, invece, la nostra salvezza.
Per il mondo dei figli, invece, vale la legge del Nuovo Testamento. Che, per farsi appetibile alle nuove generazioni, si riempie di corse e salti, di capriole e sparatorie e di tanti, ma proprio tanti videogiochi che pensano, però, (e qui vive l’anima vintage) ancora al mondo del Commodore ora che siamo ai tempi della mela dell’Apple.

Tron legacy vive di pura adrenalina e di un poco sfruttato effetto 3D. La messe di riferimenti alle mitologie del passato non si lascia sopraffare dal bisogno di azione e tenta, invece, una strana ambigua forma di convivenza. Anzi l’aspetto più originale del film sta proprio nel tentativo dell’immagine di tener dietro al pensiero, di farsene portavoce. Così lo scontro tra il Jeff Bridges dio santone e il Jeff Bridges principio del male assume un significato ulteriore quando si considera che il secondo è costruito al computer sull’immagine del primo da giovane. L’immagine digitale rivela la sua natura di vuoto simulacro, perfetta ma morta, in un discorso a suo modo (a pensarci su un secondo) quasi suicida.
Nel mondo dei figli, viceversa, il discorso si sposta sulla dinamica dei sessi in uno slancio verso il futuro che, si presume, passare per la (pro)creazione. Di qui il finale sulla moto, col sole benedicente dopo che il padre ha sacrificato se stesso sul Calvario (ribaltando la logica messianica del cristianesimo in favore di una visione più apertamente ebraica).
Alla lunga l’anima speculativa, pur se alle volte ben fusa con la dimensione tecnologica, stona con un immaginario d’azione che ha le forme del disimpegno degli anni ’80. E alla lunga la stanchezza nei confronti di questo cinema americano che ha così bisogno della fine di un mondo per mettere le pezze al solito faticoso rapporto padre-figlio prende il sopravvento. Ma superati alcuni empasse si resta favorevolmente colpiti dal gioco attoriale che sfodera oltre ad un Jeff Bridges in odore di nostalgia anche un atletico Garrett Hedlund ed una splendida Olivia Wilde.


CAST & CREDITS

(Tron Legacy); Regia: Joseph Kozinski; sceneggiatura: Edward Kitsis, Adam Horowitz; fotografia: Claudio Miranda; montaggio: James Haygood; musica: Daft Punk, artisti vari Scenografia: Darren Gilford; interpreti: Jeff Bridges, Garrett Hedlund, Olivia Wilde, Bruce Boxleitner, James Frain, Beau Garrett, Michael Sheen, Cillian Murphy; produzione: LivePlanet - Walt Disney Pictures; distribuzione: Walt Disney Pictures; origine: USA, 2010; durata: 127’


Enregistrer au format PDF