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Tropical malady

Pubblicato il 11 maggio 2005 da Giovanni Spagnoletti


Tropical malady

Ultima tra le cinematografie dell’Estremo oriente a farsi notare dal mondo occidentale (e a quanto pare c’è parecchio da scoprire in quell’angolo dell’Asia), la Tailandia per la prima volta nella sua storia ha conosciuto l’onore di partecipare al Concorso di Cannes. Di certo l’ha facilitata la coproduzione europea (Francia e Germania mentre per l’Italia ha produtto la Downtown Pictures di Marco Müller) ma il regista dal nome impronunziabile Apichatpong Weerasethakul non è un illustre sconosciuto qui sulla Croisette, dato che aveva già dato prova di sé a Cannes con l’opera di debutto, Blissfully yours, vincitore nel 2002 del premio de “Un Certain Regard”. Chi ricorda quel film affascinante, non tarderà a riconoscere anche in questo nuovo Sud pralad la stessa struttura (due storie speculari: l’una ambientata in campagna e l’altra in città), gli stessi tic (i titoli di testa messi al centro della pellicola) ma anche la stessa mano sapiente da cineasta ispirato. Solo che rispetto al precedente, il filmmaker di Bangkok ha ancora di più radicalizzato il suo stile, accentuando sino al limite massimo dell’incomprensibilità la ricerca del mistero. Risultato: metà della sala si è rumorosamente svuotata nel corso della proiezione stampa e qualche fischio ne ha accompagnato la fine. Ai fautori della verosimiglianza - come li chiamava beffardamente Hitchcock - un film antinarrativo come questo non può piacere, è indigeribile, visto che si basa non su una concatenazione di fatti più o meno coerenti ma sulla ricerca di immagini misteriche e di rimandi mitico-leggendari. Insomma un quadro astratto che si serve di componenti realistiche. Per la cronaca una possibile sinossi del film potrebbe così recitare: un giovane soldato, Keng, rientra da una caccia alle soglie di una foresta dove si aggira una strana figura di guerriero nudo; si reca in città dove conosce e passa due giorni in compagnia di un tagliatore di ghiaccio, Tong. I due si innamorano, si divertono girando senza meta per una variopinta ed affollata metropoli, poi si trasferiscono presso la famiglia di Tong in un villaggio ai margini della giungla. Qui c’è il punto di svolta: Tong cerca nella foresta una tigre che dentro di sé porta lo spirito di uno sciamano in grado di trasformarsi in animale. È la stessa figura dell’inizio? Non si sa, come tutta la trama che si basa su riferimenti al folklore e alle leggende tailandesi. La “malattia tropicale” di Weerasethakul avanza inesorabile, è un delirio. Non resta che una soluzione: accettarne le belle chimere o fuggire lontano nei sani territori della razionalità occidentale. La giuria ha scelto la prima soluzione, premiando un film ostico ma ricco di magia - anche noi ci saremmo comportati nello stesso modo.

[maggio 2004]


CAST & CREDITS

regia: Apichatpong Weerasethakul sceneggiatura: Apichatpong Weerasethakul fotografia: Jarin Pengpanitch, Vichit Tanapanitch, Jean-Louis Vialard montaggio: Lee Chatametikool, Jacopo Quadri interpreti: Banlop Lomnoi, Sakda Kaewbuadee produzione: Anna Sanders Films, Backup Films, Kick the Machine, Thoke Moebius Film Company origine: Francia/Germania/Tailandia 2004 durata: 118’ distribuzione italiana: Istituto Luce


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