Truman - Un vero amico è per sempre

Se l’assegnazione dei premi annuali di una cinematografia nazionale può dire qualcosa sul suo stato di salute, che dire del cinema spagnolo contemporaneo? Preceduto dall’assegnazione di ben 5 Goya 2015 (film, regia, sceneggiatura e i due attori), arriva adesso in Italia Truman (cui i distributori italiani hanno aggiunto il rivedibile sottotitolo “Un vero amico è per sempre”). Il film si basa su una premessa molto dichiarata, molto parlata ma nient’affatto credibile sul piano della sceneggiatura e, soprattutto, sul piano della visualità: Julián (interpretato dal noto attore argentino Ricardo Darín), attore e regista argentino ma residente a Madrid, è malato di cancro, le cure sembrano che non stiano più facendo nulla, tanto che ha deciso di sospendere ogni trattamento, l’amico Tomás (interpretato dal noto attore spagnolo Javier Cámara), madrileno ma residente in Canada decide, stante la gravità della situazione, di andare a trovarlo per quattro giorni, sarà, con ogni probabilità il loro ultimo incontro. Tutto qua. Anzi no: il vero problema è cosa fare del tenero e non più giovanissimo mastino Truman, quando verrà il fatale momento. Su questo esilissimo e – lo ribadiamo – tutto sommato teorico plot si basano i centootto minuti del film che descrivono in tempo quasi reale con una certa qual monotonia i colloqui, gli incontri, la quotidianità dei due amici, con qualche ricordo, qualche imbarazzo, qualche sentenziosa pillola di saggezza e tanta tanta banalità, con una sceneggiatura e una regia né particolarmente vivace, né particolarmente originale. Colpisce che le recensioni abbiano reiteratamente parlato di commedia, di commedia agro-dolce, in realtà si ride pochissimo in questo film (un minimo di ritmo, anche nelle commedie più compassate, per la miseria ci vuole!), qua e là invece la pellicola vira un po’ sul patetico: verso la fine e in occasione dell’escursione che i due amici compiono ad Amsterdam per andare a trovare il figlio del malato, scelta di sceneggiatura a dir poco forzata. Ma come si diceva, al di là degli evidenti limiti di scrittura, il principale difetto del film è proprio nella implausibilità e nel carattere alla fine virtuale della malattia di Julián. A parte il fatto che Ricardo Darín ha una splendida cera, giusto giusto l’aria un po’ stropicciata ma fascinosissima da bohémien, pur avendo alle spalle diversi cicli di chemioterapia, non si capisce come – solo per fare un esempio - possa essere credibile che l’impresario del teatro dove ancora ogni sera il protagonista - in ottima forma! - recita una versione teatrale delle Liaisons Dangereuses non possa essere stato al corrente dello stato in cui il suo attore versava e si lamenti di esserne stato tenuto all’oscuro; l’unica défaillance, di nuovo solo dichiarata, ma neanche lontanamente visualizzata è, verso la fine, un episodio di incontinenza. Questa discrasia fra la premessa del plot e il suo effettivo svolgimento, la sua resa visiva rende il film eminentemente consolatorio, pavido, non agevola minimamente quel che un film del genere dovrebbe indurre ossia una riflessione sulla morte e sulla sua inconsolabile bruttezza. I due attori, non c’è che dire, sono bravi, soprattutto Darín, ma questo non basta a nobilitare un film che anche nei passaggi in cui il protagonista non è al centro del racconto appare scontato: lo spettatore minimamente avvertito capisce mezz’ora prima che accada che Tomás e Paula (la cugina) finiranno a letto insieme. E anche la “sorpresa” finale non sorprende nessuno.
Perfetti sconosciuti, Lo chiamavano Jeeg Robot e Il racconto dei racconti non saranno capolavori, ma a giudicare dai David 2015– rispetto ai Goya 2015– il cinema italiano sembra messo molto meglio.
(Truman). Regia: Cesc Gay; sceneggiatura: Cesc Gay, Tomás Aragay; fotografia: Andreu Rebés; montaggio: Pablo Barbieri; interpreti: Ricardo Darín (Julián); Javier Cámara (Tomás); Dolores Fonzi (Paula); produzione: BD Cine, Argentina; Impossible Films, Spagna; origine: Spagna, Argentina 2015; durata: 108’.
