Ultimatum alla Terra

Tra il 1951 e il 2008 ne sono passati di film al cinema. Così tanti che è impossibile tenerne un conto. Film belli e film brutti, film in bianco e nero ed altri a colori, opere fantastiche e melodrammi. Un tripudio di suoni ed immagini che hanno modificato di fatto la nostra percezione del mondo.
Nel 1951 bastava un uomo alto con una tuta di lattice ed un accento un po’ strano a farci sognare di mondi lontani e sconosciuti, bastava una cassapanca ridipinta d’argento con sopra un paio di pulsanti più scuri a farci da consolle di bordo di un’astronave e bastava appena il suono del theramin a farci presagire il senso del viaggio in uno spazio che doveva essere ancora davvero conquistato. In questa realtà di stupori che a dirli oggi ti lasciano in bocca un sapore d’infanzia, che un regista prendesse in mano una macchina da presa e sognasse un film come Ultimatum alla Terra appare davvero sorprendente. E non perché non ci fossero anche in questo film cassapanche argentate e uomini allampanati che si dicevano alieni, ma perché queste cose, frutto di una fantascienza di cartapesta, venivano piegate a significare qualcosa d’altro. La fantasia del romanziere non prendeva le astronavi per sognare avventure di space opera o per terrorizzarci con scenari di invasioni aliene, ma le nobilitava nella forma di un messaggio pacifista. Lo stupore veniva messo al servizio del messaggio e quel messaggio non era affatto banale. Respirava l’aria dei tempi, trasudava di quel senso di isteria che nel mondo vero portava alla paura comunista e alla corsa agli armamenti e si traduceva in monito. Sulla china del disastro, di fronte alla possibilità di una guerra spaventosa che non poteva che recare morte e distruzione, l’uomo si trovava di fronte a due possibilità: cambiare o soccombere.
La presenza aliena distruggeva il più grande interdetto del cinema di genere. Ad essere mostruoso, terribile e cattivo non era l’extraterrestre sceso dalle stelle, né il gigantesco robot monocolo che distruggeva le armi degli aggressori, ma l’Uomo, così perso nella sua brama egoistica da non rendersi conto di essere lui stesso l’artefice della propria nemesi. Viceversa l’alieno era buono e gentile. Giungeva sul pianeta con le migliori intenzioni, ma si scontrava con l’ottusità dei politici e con la sete di sangue dei militari. Il suo messaggio di speranza lo portava a fatica ad un uomo che non voleva in alcun modo essere redento. Accolto da una pallottola, appena sceso dalla nave, risorgeva il terzo giorno, non più per un discorso alle Nazioni Unite, ma per scendere tra gli umili, per scoprire che affianco alla malvagità delle superpotenze c’era pur sempre la speranza dell’uomo comune.
A vederlo oggi, il capolavoro di Wise lascia ancora ammirati per la lungimiranza e il sicuro senso del cinema. Ma non è film adatto ai multisala, non lo riesci a vedere masticando pop corn con la convinzione che gli effetti sonori copriranno il rumore delle mascelle.
Sicché il 2008 licenzia un Ultimatum alla Terra che ha poco a che vedere con il suo predecessore.
Certo la storia resta più o meno la stessa. Rimane invariato persino il nome del protagonista. Ma cambiano la sostanza e l’estetica che la veicola.
Il capolavoro del 1951 era un film persuasivo e dolce. Convinceva lo spettatore a suon di argomentazioni sapientemente trattate. Aveva il tono caldo di un oratore che si prende le sue pause e sa dove lanciare la stoccata della battuta sagace ed incontrovertibile. È un film che conosce l’arte della retorica e sa parlare in modo piano e semplice di cose chiare ed evidenti. Anche i dischi volanti e i robot mostruosi si piegano al bisogno di una totale medietà: son lì, accidenti del fantastico, nel pieno di un film realista. Ci fanno annusare il domani per darci meglio conto delle contraddizioni dell’oggi.
Viceversa il remake di Scott Derrickson vive e respira in un clima di diverse priorità. La corsa agli armamenti oggi è ferma o non fa più notizia. I danni maggiori, del resto, li provocano i terroristi con le fionde e non le superpotenze con le atomiche. Il vero terrore inascoltato, la vera minaccia incombente, quindi, non è più la terza guerra mondiale, ma la catastrofe ambientale verso cui le nazioni si avviano con sempre più allegra incoscienza. Ad essere minacciata questa volta, non è un’utopica confederazione di pianeti, ma la Natura. E la medietà di Wise, di fronte all’arcano del Creato, deve cedere il passo alla metafisica.
Se si moltiplicano le luci mistiche, nella pellicola di Derrickson, non è perché nel 1951 non esistessero gruppi elettrogeni, ma perché il discorso politico non aveva bisogno allora del mezzuccio visivo. Oggi, spostandosi il tema di fondo verso lidi panteistici, quelle luci divengono necessarie, sono parte del discorso.
E del resto è l’intera figura di Klaatu ad assumere connotati biblici marcati. Novello Noè, costruttore di arche, l’alieno cammina sulle acque e riporta in vita i morti. Il suo diluvio è un’invasione di cavallette metalliche che falciano il novello Egitto pagano di un occidente ottenebrato dall’industria e dal guadagno.
Sostanziato da continui riferimenti all’iconografia sacra, il film di Derrickson cammina sulle sue gambe senza porsi il problema del confronto con l’originale. È una pellicola con una sua dignità. Non ti fa, forse, gridare al capolavoro, ma si sostiene con un messaggio forte veicolato da un’estetica di grido. Lo vedi pensando che Keanuu Reeves si è ormai cucito addosso ogni variazione possibile sul tema del messia e che Jennifer Connelly funziona bene; gridi al miracolo ogni volta che Kathy Bates entra in scena e pensi spesso che Jaden Smith starebbe molto meglio altrove. Se il finale appare un po’ pasticciato la colpa è, forse, proprio di questa incauta scelta di casting.
(The day the Earth stood still); Regia: Scott Derrickson; sceneggiatura: David Scarpa; fotografia: David Tattersall; montaggio: Wayne Wahrman; musica: Tyler Bates; interpreti: Keanu Reeves (Klaatu), Jennifer Connelly (Helen), Jon Hamm (Dr. Granier), John Cleese (Dr. Barnhardt), Kathy Bates (Segretario della difesa), Brandon T. Jackson (Tecnico), James Hong (Mr. Wu), Jaden Smith (Jacob); produzione: Earth Canada Productions, Twentieth Century-Fox Film Corporation; distribuzione: 20th Century Fox; origine: USA, 2008; durata: 103’; webinfo: Sito ufficiale
