Un’altra giovinezza

È al Faust di Goethe, se ci pensiamo un momento, che rimanda senza troppi imbarazzi e con grandissima cognizione di causa la struttura di Youth without Youth. Come nel capolavoro del grandissimo autore tedesco anche l’opera di Coppola racconta, infatti, le conseguenze che derivano dall’inesausta ricerca della conoscenza. Tanto il film quanto l’opera teatrale mettono al centro un individuo eccezionale, uno studioso totalmente immerso nel culto dei Libri, nella ricerca di una verità Ultima che possa dare un Senso incontrovertibile al mondo che lo circonda. Nel far questo tanto Faust quanto Matei rinunciano all’amore e si avviano verso una vecchiaia solitaria che si consuma dietro la consapevolezza sempre più ingombrante dell’inanità del loro sforzo conoscitivo. Non basta, infatti, una sola vita per giungere alla meta. La vecchiaia, da questo punto di vista, è il monito divino posto di fronte all’uomo romantico tra la sua aspirazione d’infinito e la morte che tutto cancella in un grandioso epicedio. Il trionfo del corpo, definitivamente, tragicamente vincente, sulle pulsioni dello spirito. Come nel capolavoro goethiano anche in Youth withou youth l’irruzione dell’irrazionale rimette, però, tutto in discussione.
Una tentazione si para di fronte all’uomo imprigionato nella caducità del corpo e, cinematograficamente, il tempo, figura ossessiva sin dai superbi titoli di testa della pellicola, viene ribaltato. Il vecchio ritorna giovane. Ma non è solo il corpo a ringiovanire, anche la Mente si fa di colpo più fresca, più pronta e si incendia nell’ipertrofia dei ricordi. Tutto diventa attuale, tutto diventa presente, e la sete di nuove esperienze si fa prorompente, irrefrenabile.
Il primo passo verso questa nuova brama del corpo, oltre che della mente, si compie nella direzione del sesso. Faust e Matei sperimentano per prima cosa le gioie delle carne, ricercano la soddisfazione della libido anche se il primo ha la possibilità di muoversi felice nei quattro angoli del mondo mentre il secondo è confinato su un letto di ospedale e deve accontentarsi della compiacenza di giovani infermiere.
Poi la brama di conoscenza riprende il sopravvento e il desiderio diventa quello di vedere, di esplorare, di muoversi. E tutto procede fino al fatale incontro con una donna gentile, infinitamente più giovane e candida (Margherita per Faust, Veronica per Matei) che per un breve momento pone fine alla corsa, all’ottenebramento dei sensi e regala un Heimat, o, se non altro un approdo e una sensazione di casa, ai personaggi maschili. Ma il momento è breve: la sete di conoscenza è un veleno che si insinua anche nei momenti di pace domestica, che incancrenisce i rapporti e che riconduce il racconto verso una tragedia inevitabile.
Sete di conoscenza che assume fattezze metaforiche. Per Goethe essa si incarna nella figura di Mefistofele, un demone dello spirito che già per Liszt nella Faust symphonie non è altro che una trasposizione demoniaca della Sensucht di Faust (a livello compositivo, infatti, Mefistofele non ha temi musicali suoi propri, ma si limita a ribaltare e trasformare in chiave demoniaca quelli di Faust). Per Coppola essa si definisce nella figura di un doppio, un doppelganger che parla a Mattei dallo specchio, che si appropria degli angoli di ripresa più eccentrici. Un doppio da incubo che come tutti i sosia rappresenta il nostro aspetto più negativo, ma anche la somma delle nostre aspirazioni. Un doppio che è ponte tra carne e spirito (è lui che si fa carico dei rapporti sessuali che Matei crede all’inizio solo di sognare) e tra anima e Dio. In quanto figura demoniaca, in quanto sete inestinguibile, il doppelganger di Matei non può non subire la fascinazione intramontabile del nazismo che, come già nel Doctor Faustus di Thomas Mann, è sicuramente la più tragica delle espressioni di un patto faustiano con le forze del male e con il lato più oscuro dell’essere uomo.
Sia per Faust che per Dominic, comunque il percorso esistenziale culmina, invece, nel riscatto compiuto in nome dell’amore. Così Matei lascia andare Veronica consapevole del fatto che solo lontano da lui, la donna può vivere ed essere felice. E nel Faust una voce d’angelo dice di Margherita che è salva e che un posto per lei è già pronto in Paradiso anche se la donna sta per essere bruciata al rogo per un infanticidio che non ha davvero commesso.
Questa struttura faustiana dell’intreccio di Youth without Youth è, però, rifiltrata e rimescolata nel frullatore virtuale di una concezione della storia e del mondo profondamente debitrice del Mâdhyamika, la dottrina del giusto mezzo formulata sulla scia delle argomentazioni di Nâgârjuna, poi ritrascritte e commentate da quel Candrakîrti che tanto sarà citato all’interno del film. Secondo questa dottrina fondamentale del buddhismo, esemplarmente espressa nella più celebre delle Kârikâ di Nâgârjuna, nell’universo nulla appare e nulla sparisce, nulla cessa di punto in bianco o dura in eterno, nulla è identico né è diverso da se stesso, nulla va e nulla viene. Nel mondo quindi non esistono cose “essenti” per se stesse, ma solo cose che si relazionano tra loro e che esistono proprio in virtù di questa relazione. In una parola “intersono”. Per questo ogni fenomeno che è dato osservare è privo di un proprio essere, è sostanzialmente shûnya: vuoto di esistenza intrinseca.
Se guardiamo la struttura narrativa di Youth without youth attraverso quest’ottica, ci rendiamo conto immediatamente che essa rispetta questa concezione del Mâdhyamika. Il film è, infatti, divisibile in due parti distinte che rappresentano la stessa storia, ma non sono “né identiche, né diverse da se stesse”. I personaggi che popolano queste due parti sono una rappresentazione evidente del fatto che, a livello karmico, nulla va e nulla viene. Semmai le due parti, in rispetto alla dinamica del doppio che già avevamo visto essere alla base del mefistofele coppoliano, fa sì che le due parti siano una il riflesso speculare dell’altra.
In questo modo nella prima parte vediamo il dottor Matei che, per amore della conoscenza, rinuncia al suo primo amore giovanile e si concentra solo sui libri attraversando il periodo più buio della storia d’Europa. Il motivo centrale di questo segmento narrativo è il ringiovanimento che equivale, significativamente, ad una proiezione verso il futuro (nei suoi nastri sono molte le riflessioni sulla bomba atomica e sul significato del superuomo: significativo che Mefistofele lo tenti indicando nelle esplosioni nucleari la possibilità del formarsi di un nuovo super essere come nello Stranamore kubrickiano). La seconda parte, con il ritrovamento di Veronica (che è appunto una reincarnazione della donna amata) diventa, invece, la storia della rinuncia della conoscenza nel nome dell’amore. E il tema di fondo è l’invecchiamento. Ad invecchiare precocemente (come innaturale era il ringiovanimento di Matei nella prima parte) è la stessa Veronica che, man mano che regredisce nel recupero della conoscenza delle sue passate incarnazioni, diventa vecchia sino a sfiorare la morte. Ma ad invecchiare è lo stesso Dominic che non può in ogni caso opporsi al trionfo del Tempo sul corpo.
Per Matei e Veronica vale, in fondo, quella frase che Dracula dice a Mina nel capolavoro horror del regista: “Ho attraversato gli oceani del tempo per te”. E al Dracula rimanda anche una scelta narrativa quella di far sì che Veronica (completamente soggetta ai ricordi della sua passata incarnazione: Rupini una discepola guarda caso di Candrakîrti) affronti il suo viaggio verso l’arcaico oriente in uno stato di sonno indotto e di ipnosi. Un doppio di Van Helsing, quindi, Matei, ma anche un doppio del vampiro che resta vicino all’oggetto amato consapevole che quella stessa vicinanza significa, per la donna, (non)morte e dannazione. E le motivazioni del suo star vicino alla donna sono esse stesse ambigue dal momento che esse sono legate al desiderio d’amore (inteso, però, qui, come possesso), ma anche al desiderio di conoscenza, dal momento che, ogni regressione ad un’incarnazione precedente equivale ad un capitolo nuovo del libro sulle origini del linguaggio che Matei sta scrivendo.
Il linguaggio: la vera grande ossessione del film. Scoprire l’origine del linguaggio equivale, infatti, a scoprire l’origine della coscienza e, quindi, anche il senso ultimo del Tempo che non è dotato di esistenza intrinseca, ma è frutto della nostra percezione. Il tempo: il dominio del cinema, a pensarci, visto che ringiovanire ed invecchiare precocemente sono frutti dei primi trucchi cinematografici: la proiezione al contrario e la proiezione accelerata. Così, come già in Dracula, anche il discorso di fondo di Youth without Youth rimanda, necessariamente al cinema e al suo linguaggio. E qui riscopriamo il Coppola titano che conosciamo ed amiamo che ha, sì, flirtato, in questa sua nuova opera, con i temi del buddhismo, ma non è stato sostanzialmente capace di portarli alle sue estreme conseguenze. Per Candrakîrti, infatti, la cognizione che nulla va e nulla viene, che tutto è in divenire e che niente è dotato di esistenza intrinseca equivale alla necessaria presa di consapevolezza che nulla esiste, che tutto è illusione. In fondo anche in Youth without youth tutto è illusione come nella favola del re che sogna di essere farfalla che sogna di essere re che sogna di essere farfalla e via all’infinito. Ma questa consapevolezza del vuoto non riesce a rinunciare alla logica del melodramma (questo, sì, un genere profondamente imparentato col titanismo perché dualista, perché si fonda sulla contrapposizione irrisolta tra individuo e mondo).
E alla fine del film il vuoto si riempie con una rosa e il silenzio è coperto da una voce di donna. Il Senso, ancora una volta, non è stato raggiunto, la bodhi, l’illuminazione, rimandata fatalmente ad un’altra vita.
(Youth without youth); Regia e sceneggiatura: Francis Ford Coppola; fotografia: Mihai Malaimare Jr.; montaggio: Walter Murch; musica: Osvaldo Golijov; interpreti: Tim Roth (Dominic), Alexandra Maria Lara (Veronica/Laura), Bruno Ganz (Professore Stanciulescu), André Hennicke (Josef Rudolf), Marcel Iures (Tucci), Adrian Pintea (Pandit), Adriana Titieni (Anetta); produzione: BIM, Bavaria Atelier GmbH, Pricel, SRG Atelier; distribuzione: BIM; origine: Romania, 2007; durata: 124’
