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Un’amara bellezza - qualche riflessione sull’ultimo film di Sorrentino

Pubblicato il 28 maggio 2013 da Arianna Pagliara


Un'amara bellezza - qualche riflessione sull'ultimo film di Sorrentino

Quella che Paolo Sorrentino descrive nel suo ultimo film La Grande Bellezza, con acume e potenza visionaria, è a tutti gli effetti una decadenza da Basso Impero, specchio più fedele che deformante di una certa dimensione che il nostro paese attraversa in questo momento. L’occhio del regista, come sempre lucidissimo e al contempo pronto a cogliere ogni traccia poesia dietro il grottesco, ci regala il ritratto – inequivocabilmente preciso, sorprendentemente cesellato - di un mondo in completo disfacimento, che affonda vertiginosamente in un mare denso e nero fatto di vacuità mondane, volgarità e ipocrisie, corruzione e bassezze di ogni tipo. Tutto qui ha perso la sua innocenza, la “dolce vita” felliniana si è fatta amara, e la bellezza di Roma – sfolgorante, pietrificata, deserta - è indifferente e muta. Il protagonista Jep, scrittore e giornalista – interpretato da un navigato e disilluso Toni Servillo - si muove fuori e dentro questo universo imploso, e ne è – al contempo – sostenitore divertito e critico spietato e intransigente.

Un motivo ricorrente nel cinema di Sorrentino è del resto proprio questo: i suoi personaggi si trovano ambiguamente sospesi a metà tra due mondi, in procinto di rinnegarne uno e abbracciarne un altro, prossimi a una metamorfosi non solo interiore. Pensiamo al Titta di Girolamo de Le conseguenze dell’amore – ancora, un eccezionale Toni Servillo – che da cinico e diligente “postino” della mafia si rivela capace di un atto coraggiosamente sovversivo che gli costerà la vita. O ancora agli omonimi Pisapia de L’uomo in più – primo lungometraggio del regista – stretti rispettivamente nella morsa di due mondi ugualmente feroci – quello dello sport e quello dello spettacolo – in cui all’inizio si muovono a loro agio, ma dai quali infine verranno schiacciati.
C’è insomma spesso uno scarto, un disagio, una mancata appartenenza che segna il relazionarsi dei protagonisti del cinema di Sorrentino con la realtà che li circonda. Anche Cheyenne, lo Sean Penn attonito e stralunato di This Must Be The Place, si libererà attraverso una finale, doverosa metamorfosi della dimensione stagnante nella quale la sua vita si era arrestata. Parzialmente diverso è il discorso per il sordido e ripugnante Geremia de L’amico di famiglia, che subisce un tremendo scacco personale ed esistenziale. Tuttavia verrà sconfitto e annientato proprio sul territorio che meglio pensava di conoscere e saper dominare, all’interno cioè di un mondo in cui credeva di poter dettare legge: usuario privo di scrupoli, verrà a sua volta clamorosamente derubato.
Su un altro piano sta invece il protagonista de Il Divo, film premiato a Cannes nel 2008, che fino alla fine si muove con sicurezza fin dentro le pieghe più oscure – e soprattutto in queste – del mondo cui appartiene. Questo film presenta per certi versi delle assonanze con l’ultimo lungometraggio del regista, per la descrizione rarefatta e sospesa, dai toni a tratti onirici, di un universo che è invece fortemente concreto, poiché la riflessione si fa anche – in entrambe le pellicole - politica e sociologica, non solo esistenziale e privata.
Punto di forza del cinema di Sorrentino sono appunto, anzitutto, certe atmosfere sospese e oniriche che rappresentano una sorta di marchio autoriale, atmosfere che prendono vita soprattutto attraverso un uso sapiente e raffinato dei movimenti di macchina, eleganti e a volte quasi ieratici, e grazie ad una composizione controllatissima delle inquadrature, in cui vengono esaltate con calcolata precisione ora la perfezione di una simmetria, ora la limpidezza di una pura geometria. Anche il cortometraggio La partita lenta, girato in un bianco e nero che restituisce immagini nitide e terse, diventa - grazie al tocco inconfondibile del regista - una piccola, preziosa lezione di cinema.

La Grande Bellezza sembra quasi strizzare l’occhio a Fellini nelle sue sequenze più visionarie (l’apparizione della giraffa, spaesata e tuttavia placida nella notte romana, come un’epifania magica che sparirà al tocco del prestigiatore) e grottesche (la galleria di personaggi bizzarri ed equivoci che popolano le serate di Jep). Mentre in certe situazioni dominate da volgarità e squallore qui descritte da Sorrentino riecheggia invece l’ultimo Garrone (quello di Reality). Gli unici “puri”, o quasi, sono i personaggi interpretati da Verdone (lo scrittore Romano) e dalla Ferilli (la spogliarellista Ramona). Lui, circondato da individui ipocriti e opportunisti, è riuscito a preservare una certa ingenuità, e infine rinuncia a questa Roma cinica e sfavillante che non lo ha mai pienamente accolto, per tornare al suo paese d’origine, nella più tranquilla e quieta provincia. Lei, schietta e disincantata, eredita in parte la romanità spontanea e quasi sguaiata della Cabiria felliniana e di Mamma Roma, ma ha perso l’innocenza e la dolcezza del personaggio della Masina e la volontà di riscatto e l’orgoglio di quello della Magnani. E questo appare, inequivocabilmente, come un segno dei tempi.
Grande, impietoso e potente affresco della nostra contemporaneità - descritta soprattutto nei suoi aspetti più desolanti - La Grande Bellezza è un film che si fonda anzitutto su uno scarto tra personaggi e sfondo: i primi sono emblema delle brutture morali - e non solo - della nostra contemporaneità, il secondo è all’opposto manifestazione estatica e sublime della bellezza fuori dal tempo (arte e architettura, giardini e paesaggi). Tuttavia la vera bellezza, la grande bellezza, non è quella indifferente della città, ma quella interiore dell’umanità (purezza, innocenza, autenticità) che il protagonista – come infine affermerà con lucida e definitiva consapevolezza - non è riuscito a trovare. E, guardando con i suoi occhi questo panorama sconfortante, non si può che condividere la sua amarezza, stemperata solo in parte dalla scelta finale di tornare, dopo anni e anni, a scrivere, uscendo così finalmente da un lungo torpore interiore.


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