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Un anno con 13 lune

Pubblicato il 3 marzo 2009 da Leonardo Gliatta


Un anno con 13 lune

Dopo autori come Heiner Muller e Copi, il duo Annalisa Bianco e Virginio Liberti dell’Egumteatro non parte da un testo teatrale di Fassbinder ma da un film del 1978, nato non come versione cinematografica di un dramma teatrale. Il loro, però, non è un rifiuto dell’apparato filmico, il sovratesto che li precede, perché del film viene recuperata un’intera sequenza, quella del mattatoio, in cui assistiamo all’orribile scempio delle carni aperte ed esposte che fanno da allegoria macabra della vita raccontata in scena.
Un mattatoio figurato, quindi, è il dramma messo in scena dall’Egumteatro, segnato da diverse tappe come altrettante stazioni cristologiche, in cui si ripercorre per visioni la vicenda umana della trans Elvira, all’anagrafe Edwin, che si fa evirare a Casablanca per amore. In una personale via crucis, che ricorda uno dei Tre studi per una Crocifissione di Danio Manfredini, Elvira rincontra le figure del suo passato: da Anton Saitz, potente magnate e uomo per cui Erwin aveva deciso di operarsi, alla suora dell’orfanotrofio in cui fu abbandonato, fino alla moglie della sua prima vita, Irene e alla figlia avuta da lei.
Tutti i personaggi roteano in un vortice che trascina Elvira in un gorgo di solitudine e disperazione – e qui siamo nel territorio del Fassbinder più cupo – respinta da tutti, dalla moglie, dalla figlia, dal compagno. Interessante la soluzione ideata per rappresentare il sogno di Elvira, una bocca che parla all’inconscio celata sotto una maschera deformante, che dialoga con Elvira in scena raccontandole della visione del cimitero, lapidi con incise date brevissime che non stanno per la nascita e la morte, ma per il periodo assegnato ai defunti per la felicità quando erano in vita.
L’ambiente scenico rimanda a interni berlinesi, tappezzato di mobilia decadente, stantia, gli oggetti scenici appaiono e scompaiono, alcuni non sono neppure funzionali all’azione, sono puro ornamento, altri invece, come le figure sacre, evocano un passato perduto, di cui si percepisce solo l’odore.
La cifra ironica e grottesca propria della compagnia è saldamente tenuta per tutto lo spettacolo, e lo salva da facili slittamenti nel melò. Grandissima prova per Michele di Mauro, che regala una caratterizzazione del trans intensa, a tratti straziante, anche solo con un balbettio, o con la bocca aperta in un urlo silenzioso di inaudita disperazione.


Di Rainer Werner Fassbinder
Un progetto di Egumteatro e Michele di Mauro
Interpreti: Michele Di Mauro, Gisella Bein, Tatiana Lepore, Simona Nasi, Pasquale Buonarota, Massimo Giovara, Riccardo Lombardo
Scene e costumi: Horacio de Figueiredo
Luci: Massimo Violato
Regia: Annalisa Bianco e Virginio Liberti
Produzione: Egumteatro, Fondazione Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi con il patrocinio della Regione Toscana Sistema regionale dello Spettacolo


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