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Cosa piove dal cielo?

Pubblicato il 23 marzo 2012 da Alessandro Izzi
VOTO:


Cosa piove dal cielo?

L’assurdità dell’esistenza, di cui siamo appena consapevoli quando ci muoviamo stanchi per le strade della vita, alle volte si cristallizza come l’acqua carica di calcare delle stalattiti. Si gela, nel suo movimento a caduta pregno di umidità, in una forma aggraziata e movimentata degna d’uno scultore. Diventa barzelletta (un "cuento chino", appunto) o storia grottesca, surreale. È successa veramente, come le storie raccontate nel film, eppure sembra il frutto di una fantasia a briglia sciolta, in libera ricerca dell’improbabile.
Il mondo è zeppo di questi cristalli che ci stupiscono per le loro forme inaspettate o ci fanno sorridere per lo svolgersi delle loro linee buffe e, come i minerali che riempiono le teche dei musei, anche questi piccoli racconti assurdi possono essere collezionati.
Almodovar li raccoglie dai ritagli di giornale e li mette assieme nella speranza che l’accostamento diventi una costellazione da cui desumere una sceneggiatura (una storia del genere ce la raccontava anche ne La mala educacion).
Paul Thomas Anderson li utilizzava come lego per comporre il fiore assurdo di Magnolia in cui l’improbabile serviva a costruire un canto sempre dolente, eppure a tratti divertente sulla solitudine dell’uomo nel piano di un creato da sempre incomprensibile.
Si, perché questi frammenti di storia, queste esistenze che non meriterebbero racconto se, ad esempio, una mucca non piovesse dal cielo a sancirne la dimensione incredibile, o non cadesse una pioggia di rane a coprire di verde manto i vivi e i morti, sono crepe sulla superficie che vorremmo liscia e regolare delle nostre esistenze. E il nostro affannarci a costruire un piano regolare sulla superficie a bozze della vita, appare goffa e ridicola, muove a quel riso che nasce spontaneo quando si cerca di cacciare il pianto.
Così è goffa e ridicola la perfetta esistenza kantiana di Roberto che tutte le notti, alle 23:00 scoccate, spegne la luce della propria camera per apprestarsi al sonno. E il gesto è di tal rigore che ci potresti regolare sopra l’orologio come si faceva con la passeggiata del filosofo tedesco della critica alla Ragion pura. Un’esistenza talmente equilibrata, nella sua piana routine, che non ti stupisce, tutte le mattine, veder sulla tavola, la stessa colazione, con le stesse portate nella stessa quantità.
Roberto, nella vita solitaria e scontrosa che conduce, è proprietario di un negozio di ferramenta, ma la sua occupazione più vera è ritagliare dai giornali le storie improbabili che ne popolano le pagine meno importanti. Finché l’arrivo di Jun, un cinese (l’altro "cuento chino") non interrompe il solito tran tran dell’uomo con la sua ricerca spasmodica di uno zio, ultimo parente rimastogli proprio in Argentina.
Le gap comunicative (Jun non parla una parola di spagnolo) sono solo l’inizio di una ridda assurda di eventi che si dipana con spirito grottesco e surreale. Il regista lo governa con spirito divertito, in piena libertà e con gusto visionario. Ma il suo sguardo, leggero, fresco e brioso, resta forse un po’ troppo sulla superficie delle idee. Non ha né l’acidulo di Almodovar, né il senso di apocalisse di Anderson. Sicché il film si muove allegro e ben girato verso la finale ricomposizione degli opposti, con la storia di due solitudini che si salvano reciprocamente dalle rispettive routine.
Paragonato agli altri film in concorso a Roma, Un cuento chino, brilla per tocco leggero e simpatia. E il film ha vinto su tutti i fronti, tra Marco Aurelio d’oro, Premio del pubblico e anche il Mouse d’oro. Ma ad un paragone meno contingente, pur nella sua godibilità e nel suo messaggio speranzoso, non è quel capolavoro che la materia trattata avrebbe meritato.


CAST & CREDITS

(Un cuento chino); Regia: Sebastián Borensztein; sceneggiatura: Sebastián Borensztein; fotografia: Rodrigo Pulpeiro; montaggio: Fernando Pardo; musica: Lucio Godoy; interpreti: Ricardo Darín Huang Sheng Huang Muriel Santa Ana; produzione: Tornasol Films (Spain), Castafiore Films (Spain); distribuzione: Archibald Enterprise Film; origine: Spagna, 2011; durata: 98’


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