Un giorno questo dolore ti sarà utile

Faenza in America. Prima di Muccino, anche se con minor strepito mediatico, ma anche più europeo di Muccino visto che quest’ultimo, anche quando girava in Italia, guardava all’estero, nella migliore delle ipotesi in Francia, più probabilmente ad Hollywood.
A differenza di Muccino, però, Faenza, guarda dentro la sua macchina da presa e inquadra New York. Scelta difficile, a pensarci su un momento, perché la più multietnica delle metropoli americane, la città che ha fatto da modello alla Metropolis di Superman (ma anche a quella di Fritz Lang), da qualche anno, e precisamente dal post 11 settembre, fatica a ritrovare un proprio equilibrio a raccontarsi, a dirsi, a farsi oggetto di visione. Ed ora che anche Woody Allen preferisce andarsene in giro per il mondo a fare i suoi film a cadenza più o meno annuale, la capitale economica dell’impero non ha più un suo cantore come, da tempo ormai, ha perso anche il suo candore.
In questa capitale dell’impero, Faenza ambienta, fedele al romanzo di Cameron da cui trae ispirazione e storia, le gesta di James, novello giovane Holden e al pari di lui confuso e tormentato.
La differenza sostanziale sta nel fatto che mentre Salinger chiudeva il suo romanzo fulminante nella notte d’ansia del suo protagonista che si sperdeva nel mondo chiedendosi il perché delle cose e di se stesso, Cameron e con lui Faenza, seguono il complesso lavoro che vien dopo, quello di ripresa di contatto col mondo, con gli altri e con la propria identità. La notte brava di James, sta , quindi, tutta in un flash-back e non è neanche, com’era nel modello, un perdersi tra i locali e le strade di una città notturna e qualche volta minacciosa, ma si chiude dentro un albergo a sette stelle, nella suite più costosa che la carta di credito di mamma possa pagare, ad ascoltare il Mozart più tormentato allo stereo, mentre, dentro la vasca da bagno, ci si mette una maschera alle alghe e si aspetta.
Somma delle provocazioni, il giovane James, che di mestiere fa il figlio di una gallerista d’arte che non vende niente e di un broker della borsa pre indignados, non vorrebbe andare al college, ma comprarsi, con la mancia di Natale della nonna, una villetta a tre stanze con bagno nella quale imparare un mestiere di quelli che nessuno fa più, come il carpentiere.
In tutta risposta la mamma obbliga (la prima volta, ma poi gli piace) il pargolo a seguire una life coach, professione che in America, prende corpo da un errore di traduzione dei testi di Freud.
Faenza gira con eleganza quasi alleniana, ma in fondo personale ed italiana, questa crisi dei valori con la precisa intenzione di andare a documentare il difficile rapporto tra vecchi e giovani alla fine del primo decennio del nuovo millennio. Lo asseconda un coro di attori in stato di grazia, con la rivelazione Toby Regbo, nei panni di James dopo che era stato un giovane Silente nell’ultimo Harry Potter.
Ma al film avrebbe forse giovato uno sguardo meno partecipe, meno implorante un’immedesimazione impossibile con un figlio della borghesia più abbiente e più vuota di New York.
Resta uno sguardo caldo su una città in cui la crisi gratta sotto la superficie delle cose, pronta ad esplodere ad ogni passo, incerta sulle soluzioni da adottare. E resta una lezione di eleganza di cui il nostro cinema dovrebbe far tesoro.
(Someday This Pain Will Be Useful to You); Regia: Roberto Faenza; sceneggiatura: Roberto Faenza, Dahlia Heyman; fotografia: Maurizio Calvesi; montaggio: Massimo Fiocchi; musica: Andrea Guerra; interpreti: Toby Regbo Marcia Gay Harden Peter Gallagher Lucy Liu Stephen Lang Deborah Ann Woll Ellen Burstyn; produzione: Jean Vigo Italia (Italy), Rai Cinema (Italy), Four of a Kind Productions (United States); distribuzione: 01 Distribution; origine: USA, 2011; durata: 99’
