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Un uomo tranquillo

Pubblicato il 21 febbraio 2019 da Marco Di Cesare
VOTO:


Un uomo tranquillo

Quando ci si imbatte in film come questo Un uomo tranquillo, il primo pensiero che viene alla mente è di realizzare un discorso che tenti di essere il più ampio possibile, con l’opera in questione che diviene un punto di partenza, un esemplare che si innesta all’interno di una cultura e di un tempo di appartenenza, di un modo di intendere il medium di pertinenza.
Giacché l’approdo in terra statunitense del norvegese Hans Petter Moland è l’auto-remake del suo pregevole In ordine di sparizione, pellicola il cui ricordo è ancora fresco, essendo datata 2014. Dirette da lui in quell’occasione due stelle del cinema europeo d’autore: ossia Stellan Skarsgård e il compianto Bruno Ganz. E non si può non portare in evidenza un raffronto tra i due film, dato che quello che ci ha maggiormente esterrefatti è la quasi totale similarità di varie scene, fino addirittura a quella di molteplici inquadrature. Contando che la sceneggiatura è stata riscritta per l’occasione da Frank Baldwin, se ne può facilmente desumere come In ordine di sparizione sia stato trasposto in Un uomo tranquillo, ricoloccando l’azione negli Stati Uniti, nella loro geografia e nelle loro tradizioni, trasferendo il tutto nuovamente in un ambiente impervio e caratterizzato dal gelido nitore di ghiaccio e neve: in Colorado questa volta, in particolare nella piccola località sciistica di Kehoe, luogo di divertimento e spensieratezza per tanti turisti; ma anche – e proprio a causa di questo motivo anzi - crocevia dello spaccio di droghe pesanti. Ma la polvere bianca verrà presto inondata di tanto sangue, sparso dal diligente spazzaneve Nels Coxman (interpretato da Liam Neeson), appena eletto cittadino dell’anno, che si vendicherà dell’organizzazione criminale che gli ha ucciso l’innocente figlio, dando vita a una reazione a catena a forma di cupa spirale di violenza che si dimena tra i toni del gangster movie e della black comedy.
L’attore nordirlandese qui rilegge uno dei suoi caratteristici personaggi: ovvero quello del vendicatore. Cominciato nel 1990 con la cieca furia del Darkman di Sam Raimi, tale archetipo venne ripreso attraverso il ciclo di Taken, nel quale l’argomento trattato di un uomo che difende l’integrità del proprio nido famigliare è lievemente vicino a quello esposto nell’opera di Moland: seppure qui non vi sia più alcun figlio da salvare, ma solamente la scelta di come affrontare il lutto. Moland che ripropone poi, assieme ai ruoli di azione che a volte Neeson ama recitare, anche la caccia all’uomo.

Spinto da Michael Shamberg (già produttore di Pulp Fiction) a realizzare lui stesso il remake del suo In ordine di sparizione, poiché lo considerava l’unico regista adatto a bilanciare e a poter riproporre in maniera sottile la tragicità e la comicità di quel film, Moland è stato ovviamente sollecitato a parlare riguardo tale sua scelta. Così afferma che la sua biografia gli ha permesso di sentirsi a proprio agio in mezzo alla cultura americana: «Il mio umorismo è influenzato molto dai cineasti americani: come Billy Wilder per esempio. E avendo vissuto a New York negli anni ’70 e ’80, quell’umorismo oscuro, grottesco, macabro, mi era molto familiare. Per questo qualsiasi mia caratteristica tipicamente ’scandinava’ è anche fortemente influenzata da tutto ciò». Evidentemente la globalizzazione culturale in campo cinematografico da decenni permette il transito di idee in giro per il mondo, in particolare tra le due sponde dell’Atlantico. E, ancora: «Non è che non fossi felice dell’originale. Ma l’ho guardato come se fossi, diciamo, un regista teatrale che aveva realizzato una produzione di successo a Oslo, e ora avessi la possibilità di fare una nuova produzione a Broadway, per un nuovo pubblico e con un cast di nuovi straordinari attori. Era una tale opportunità che non potevo dire di no».

E comunque l’avere spostato la ri-produzione dell’idea iniziale in un’altra nazione ha visibilmente cambiato taluni aspetti di In ordine di sparizione: nato come rilettura del cinema americano di genere - così come il personaggio interpretato da Stellan Skarsgård traccia strade (nuove?) grazie al suo spazzaneve - nel riattraversare l’oceano per divenire Un uomo tranquillo è stato purtroppo edulcorato delle parti più scabrose, probabilmente per non ferire il lato politicamente corretto di quello che gli autori potrebbero avere reputato essere la sensibilità dello spettatore statunitense cosiddetto medio. Non stiamo parlando della violenza e degli schizzi di sangue, che diventano veicolo del grottesco eccesso da black comedy: poiché disturbanti a nostro parere questi lo sono solamente all’inizio, quando avviene il contatto corpo a corpo tra il maturo protagonista e un ben più giovane gangster; mentre in seguito si assisterà a un progressivo e cartoonesco distanziamento attuato dalle pallottole che fioccheranno copiose, facendo cadere corpi come si trattasse di birilli inanimati. Episodio invece eclatante, omesso nella nuova versione, è un altro corpo a corpo: un politicamente scorretto pugno da parte di un uomo ai danni dell’odiata ex moglie, improvviso colpo che con la sua comicità aveva squarciato lo schermo come un fulmine a ciel sereno, spingendo il pubblico a ridere e forse subito dopo a vergognarsi di avere provato del piacere. E il responsabile di quell’atto, il malavitoso boss soprannominato ’Il conte’, nella nuova versione è diventato ’Il vichingo’: epiteto questo che sa tanto di Norvegia, assieme alla critica che Moland muove contro il machismo, la violenza, l’esagerazione e la vendetta. Laddove le donne si tengono alla larga da tutto ciò, al pari dell’unico bambino presente in scena (il saggio e misurato figlio del boss), per un film che vede agire principalmente maschi, col fine di narrare delle devianze di una certa mascolinità. Mentre due affiliati devono tenere nascosta la propria relazione omosessuale.

Un uomo tranquillo ha deciso di intitolarlo la distribuzione nel nostro Paese, operando una certa ironica sottolineatura. Quanto il titolo originale recita Cold Pursuit: ovvero fredda ricerca, inseguimento al freddo, per un gioco di parole che unisce il clima sulle montagne del Colorado ai colori e ai toni della pellicola e alla gelida risolutezza del protagonista nel perseguire lo scopo che si è preposto.
Risulta però deludente dover constatare come l’unico arricchimento in questo auto-remake rispetto all’originale è la comparsa di un gruppo di pellerossa nei panni della banda criminale rivale de ’Il vichingo’, in uno scontro tra nativi e discendenti di immigrati di epoca moderna negli attuali Stati Uniti; così come stimolanti sono gli accenni ai problemi legati alla diffusione delle droghe pesanti tra gli indiani (assieme all’alcol sparso dall’uomo bianco una delle cause del loro genocidio).
Quando, per il resto, il film è un vuoto a perdere: si perde il solenne lirismo che si era fatto sentire in In ordine di sparizione; la messa in scena è meno interessante; i vari generi utilizzati si compenetrano in maniera superficiale; gli attori non sono all’altezza; vengono a mancare quei particolari che avevano reso la versione norvegese talmente attraente.
Chi lo sa a questo punto se il viaggio di Hans Petter Moland in terra Usa avrà un seguito; oppure se dovrà essere ritenuto il biglietto per un volo commerciale. E però tocca considerare come egli sia già rientrato nella sua Norvegia, dove ha girato Out Stealing Horses, portato pochi giorni fa in concorso all’ultima edizione del Festival di Berlino...


CAST & CREDITS

(Cold Pursuit); Regia: Hans Petter Moland; sceneggiatura: Frank Baldwin (basata sul film In ordine di sparizione, scritto da Kim Fupz Aakeson); fotografia: Philip Øgaard; montaggio: Nicolaj Monberg; musica: George Fenton; interpreti: Liam Neeson (Nels Coxman), Tom Bateman (Trevor ’Il Vichingo’ Calcote), Tom Jackson (White Bull), William Forsythe (Brock), Emmy Rossum (Kim Dash), Laura Dern (Grace Coxman), Micheál Richardson (Kyle Coxman), Julia Jones (Aya); produzione: Paradox Films e Studio Canal; distribuzione: Eagle Pictures; origine: USA, 2019; durata: 118’; web info: minisito del distributore italiano.


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