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Una donna fantastica

Pubblicato il 20 ottobre 2017 da Matteo Galli
VOTO:


Una donna fantastica

Ci piace pensare che il titolo – Una mujer fantástica - dell’ultimo, ottimo film di Sebastian Lélio sia, fra le altre cose, da leggersi come involontario omaggio al grande Tzvetan Todorov, scomparso da poco. Non solo quindi un giudizio di valore pronunciato dal regista e dal suo fido sceneggiatore Gonzalo Maza (nel film non lo pronuncia né lo pensa alcuno) ma, almeno da un certo punto in avanti del film anche un omaggio a un genere, o come avrebbe detto Todorov, a un modo. Due terzi del film sembrerebbero invece non lasciare scampo sul piano dell’interpretazione, mettendo il dito nella piaga di un conflitto culturale, sociale, sessuale durissimo. Don Orlando (interpretato da Francisco Reyes, le poche scene che lo vedono protagonista lo descrivono come personaggio un po’ catatonico), piccolo industriale tessile, muore di colpo all’età di 57 anni, di un aneurisma, le ultime ore, gli ultimi mesi, anzi probabilmente anni, Orlando li ha passati con Marina, una transessuale (ha già fatto l’operazione? Non l’ha fatta? Domanda del tutto priva di senso) che si esibisce come cantante in un locale di salsa e merengue, ma che studia la musica barocca, ambisce ai ruoli che furono dei grandi castrati. E’ Marina (sensazionale Daniela Vega!) che porta Orlando in ospedale nel disperato quanto inutile tentativo di salvare il suo innamorato. Da qui ha inizio la sua odissea: la famiglia (ex moglie, figlio; leggermente meglio il Gabo, il fratello del defunto, interpretato da Luis Gnecco, il Neruda di Larraín) non vuole saperne di averla fra le scatole, non le riconosce il diritto al lutto, alla casa dove abitava con Orlando, al cane che il compagno le aveva lasciato, la polizia sospetta che ci sia qualcosa sotto, visto che il corpo di Orlando presenta ematomi (è caduto dalle scale in preda all’attacco), l’unica persona minimamente solidale è la sorella, un po’ alternativa. Marina si aggira per una Santiago inospite fatta di avenidas e casermoni, combattuta fra il desiderio di fuggire da queste sordide persone che la vogliono scrutare, inquadrare, punire e la sua tenacia di affermare il proprio diritto all’affetto, al lutto. La macchina da presa la riprende spesso ricorrendo a filtri, a fassbinderiani specchi e cornici, almodovariani strazi - e almeno un paio di volte Marina guarda in macchina interrogando esplicitamente lo spettatore, sfidandolo, chiedendogli di prendere posizione. Una macchina da presa di rigorosa pudicizia che fa da contraltare all’ossessione e alla violenza della società perbenista e borghese che vorrebbe marchiare e cancellare questo essere ai loro occhi indefinibile. Una battaglia implacabile che si gioca tutta sul corpo fragile e muscoloso di Marina.
Una traccia accompagna l’odissea della protagonista, la chiave dell’armadietto di una sauna, rimasta fra gli effetti di Orlando. Lo spettatore è portato a ritenere che da lì possa aprirsi una qualche rivelazione, sul passato comune, una traccia di memoria.
E invece la cassetta sembra vuota, un carrello in avanti, dissolvenza in nero. E qui sembra spalancarsi un’altra vita: Marina che assiste alla cremazione del corpo, Marina con Diabla, il cane, accucciata accanto a lei sul divano, Marina che canta Ombra mai fu, accompagnata al pianoforte dal suo maestro e da un concertino d’archi. Vero? Immaginato? Todorov l’avrebbe per l’appunto chiamata “esitazione fantastica”. D’altrone il tema dell’ombra è un grande tema della letteratura fantastica, e Orlando lo vediamo reiterate volte aggirarsi come ombra.


CAST & CREDITS

(Una mujer fantástica); Regia: Sebastian Lélio; sceneggiatura: Sebastian Lélio, Gonzalo Maza; fotografia:Benjamin Echazarreta; montaggio: Soledad Salfate; interpreti: Daniela Vega (Marina), Francisco Reyes (Orlando), Luis Gnecco (Gabo), Aline Kuppenheim (Sonia), Nicolas Saavedra (Bruno); produzione:Fabula, Santiago, Participant Media, Los Angeles, Komplizen Film, Berlin, Muchas Gracias, Santiago, Septembro Cine, Barcelona, Varsaviaorigine:Cile, Germania, USA, Spagna, 2017; durata: 104’.


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