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Una notte da leoni

Pubblicato il 22 giugno 2009 da Lorenzo Vincenti


Una notte da leoni

A tre anni dalla sua precedente ed esilarante commedia e a cinque dal suo più clamoroso successo incentrato sulla riscrittura di due mitici personaggi del poliziesco televisivo come Starsky e Hutch, Todd Phillips torna nuovamente dietro la macchina da presa per far tremare le poltrone in platea e divertire il pubblico attraverso il suo sgangherato ma energico modo di fare cinema. Torna con una commedia che, a dire il vero, si distanzia leggermente dal lavoro di adattamento del 2004 e richiama molto di più la follia ed il delirio del suo cinema più istintivo e diretto, quello basato per intenderci sullo scontro tra situazioni imbarazzanti e sulla regressione dell’essere umano (quasi sempre colpito dalla sindrome di Peter Pan). Sarebbe sufficiente leggere il titolo originale per farsi un’idea della overdose di degenerazione indotta da questa nuova esilarante opera. The Hangover (I postumi di una sbornia) infatti, al pari della traduzione non proprio malvagia arrivata in Italia (Una notte da leoni) è un titolo che rappresenta al meglio il complesso sistema di assurdità e squilibrio messo in scena nel film di Phillips.

La storia mette in scena quanto di più classico ed esplosivo una commedia americana moderna possa proporre. Quattro amici si riuniscono in occasione dell’addio al celibato di uno di loro, per andare a trascorrere gli attimi precedenti al grande passo in quel regno della perversione meglio conosciuto come Las Vegas. Approdati nel deserto del Nevada a bordo dell’auto lussuosa del futuro suocero di Doug, i quattro ragazzi si apprestano a trascorrere momenti di totale evasione dalla routine della vita quotidiana. Tutto lascia presagire in questi attimi che il grassone irsuto Alan troverà tra i tavoli da gioco la giusta valvola di sfogo per le sue inspiegabili stranezze mentali, il belloccio Phil nonostante appaia il più sereno del gruppo si allontanerà dalla famiglia giusto il tempo necessario per rigenerarsi, mentre il dentista Stu potrà finalmente godere di quella libertà sinora negata dalle imposizioni di una compagna schizofrenica ed autoritaria. L’obiettivo per tutti è quindi quello di raggiungere il massimo del piacere senza travalicare i limiti del buon gusto, onorando nel miglior modo possibile i rituali classici dell’addio al celibato. Preso possesso della più lussuosa suite del Caesar Palace, i quattro decidono perciò di salire sopra il tetto dell’hotel per inaugurare la serata con un primo brindisi. Questo normalissimo atto si trasforma però nell’ultimo gesto consapevole della loro serata, sul cui destino cala il sipario di una regia che ci trascina direttamente al momento in cui il gruppo si risveglia nella suite devastata e scopre, a causa della droga inconsapevolmente ingerita, di non ricordare nulla di quanto successo durante la notte appena trascorsa. Qualcosa di assurdo evidentemente, vista la scomparsa del festeggiato e l’improvvisa quanto inspiegabile apparizione nella stanza di una tigre accampata in bagno e di un neonato adagiato nell’armadio. L’evidenza di fatti così clamorosi scuote così il gruppo e lo costringe, nella parte restante del film, a ricostruire la cronologia degli eventi trascorsi per riuscire a ritrovare l’amico disperso e a riconsegnarlo in tempo al suo matrimonio.

Il cinema di Todd Phillips, come si può facilmente percepire da quanto sinora detto, si basa molto sulla estemporanea ed assurda composizione della gag comica. Una notte da leoni risulta per tale ragione un esempio dello straordinario modo di concepire la comicità come un insieme di avvenimenti legati da un forte principio di causalità. All’interno del suo personalissimo meccanismo, riferibile in sintesi alla teoria delle scatole cinesi, Phillips costruisce l’effettiva riuscita di un evento comico sull’ispirazione o l’influenza che su di esso esercita un episodio precedente. Questo a dimostrazione del fatto che tutto l’insieme viene considerato dal regista solo come l’involucro entro cui far interagire attimi di umorismo assoluto, continui, incessanti, senza che pause improvvise possano interferire sul ritmo costante e sostenuto della pellicola. Istintiva, primordiale, a tratti banale e volgare, la comicità messa in scena in The Hangover risulta martellante, quasi a voler in questo modo aumentare a dismisura l’effetto straniante causato dai numerosi avvenimenti raccontati. In certi tratti essa lascia intravvedere delle somiglianze con la trilogia dell’idiota dedicata dai fratelli Coen a George Clooney (Fratello, dove sei?, Prima ti sposo, poi ti rovino e Burn after reading), un tipo di cinema anch’esso costruito sulla sequenzialità causale di avvenimenti fortuiti anche se distante da quello di Phillips per il ruolo riservato all’umorismo. In quel caso molto più costruito sul linguaggio cinico e sul malinteso che sulla fisicità e l’irriverenza presente nel film del nostro regista. La giusta collocazione di Una notte da leoni è probabilmente sul solco virtuale aperto tra un’opera come Sideways, altra rappresentazione della vigilia di un matrimonio trascorsa da due amici sulle strade del vino della Napa valley californiana, e Notte brava a Las Vegas, film simile per i toni ma soprattutto per la rappresentazione della follia che colpisce chi si ritrova nella cittadina americana. Ci piace vedere rappresentato in Stu, l’incredibile dottore senza un dente, il ponte di collegamento con queste due opere. Egli infatti, mentendo spudoratamente, dichiara alla moglie di andare a trascorrere l’addio al celibato nella tranquillità delle stesse colline percorse in Sideways ed è colui che, per effetto dei bagordi eccessivi, sposa inavvertitamente una donna conosciuta durante la lunga nottata di Las Vegas. Proprio come avviene ai personaggi interpretati da Ashton Kutcher e Cameron Diaz in What happens in Vegas.

La forza di un film come Tha Hangover risiede nell’alternanza fra i tratti di surreale straniamento ed i momenti di concretezza eccessiva, fisica, travolgente presenti nell’opera. Una contrapposizione che contribuisce ad evidenziare la forte connotazione dei personaggi e che accentua le loro sostanziali differenze fisiche e caratteriali. La difficile interazione tra loro e con i diversi personaggi incontrati durante l’avventura diventa pian piano un altro elemento su cui poggia l’intrigante ed agile architettura narrativa del film. Frutto questo della vena registica di Phillips ma soprattutto dell’ispirazione degli sceneggiatori Jon Lucas e Scott Moore, particolarmente abili nel creare una commedia mai ferma entro schemi prestabiliti, ma libera di muoversi e spaziare nei territori della demenzialità, della slapstick comedy e della commedia degli equivoci. Se c’è da rimproverare qualcosa al loro lavoro è solo probabilmente una certa approssimazione con cui esso approda alla risoluzione delle scelte narrative, un utilizzo gratuito della volgarità e una certa accondiscendenza nei confronti della battuta diretta e di facile presa, troppe volte utilizzata ed in certi casi inconcludente ai fini dell’intento comico.

Il film nel suo complesso mostra però una agilità ed una arguzia probabilmente mai raggiunte sino ad ora dal cinema di Phillips, per di più corredate dalla definizione di personaggi strepitosi e da una maturità registica capace nell’occasione di fargli muovere la propria creatura con tranquillità ed una consapevolezza visibile attraverso lo schermo. Una efficacia che ci piace riassumere in tre elementi del film: il discorso d’accompagnamento al brindisi svolto sul tetto dell’albergo, colui che lo legge (un personaggio straordinario a metà tra Seymour Hoffman e John Goodman) e la sequenza finale in cui le foto scattate durante la notte vietata scorrono sui titoli di coda del film rivelando finalmente allo spettatore (ma anche ai personaggi che le vedono per la prima volta) ciò che di assurdo è accaduto.


CAST & CREDITS

(The Hangover) Regia: Todd Phillips; soggetto e sceneggiatura: Jon Lucas, Scott Moore; fotografia: Lawrence Sher; montaggio: Debra Neil-Fisher; musiche: Christophe Beck; scenografia: Andrew Max Cahn, A. Todd Holland; costumi: Louise Mingenbach; interpreti: Bradley Cooper (Phil Wenneck), Ed Helms (Stu Price), Zach Galifiniakis (Alan Garner), Justin Bartha (Doug Billings), Heather Graham (Jade); produzione: Warner Bros. Pictures, Legendary Pictures, Green Hat Films; distribuzione: Warner Bros Italia; origine: USA; durata: 100’; web info: http://wwws.warnerbros.it/hangover/.


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