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Una vita quasi perfetta

Pubblicato il 20 maggio 2003 da Alessandro Izzi


Una vita quasi perfetta

Cosa fareste se qualcuno vi dicesse che avete appena una settimana di vita? Il cinema hollywoodiano risponde a questa domanda in modi diversi a seconda del genere di appartenenza del film che state visionando. Se siamo dalla parti di un horror (vedi il caso The Ring) sarà una voce petulante e stridula a dirvi, attraverso una cornetta telefonica, che la nostra vita avrà presto termine e non è difficile ipotizzare che i pochi giorni che vi restano da vivere li passerete in cerca di tombe nascoste nei posti più improbabili. Se ci troviamo, invece, nel fertile campo della commedia strappalacrime (stile Autumn in New York) non abbiamo dubbi che la vaticinata scadenza delle vostre pene, la fine del passaggio fugace in questa valle di lacrime, condurrà ad un racconto, a metà tra lacrima e sorriso, tutto incentrato sulla scoperta dell’acqua calda: “avevate la felicità a portata di mano e ve la siete (quasi) lasciata scappare”. Una vita quasi perfetta reca già nel titolo il vapore di tutta quest’acqua messa a bollire. La vita di cui si parla è quella di Lanie (interpretata da una platinata Angelina Jolie che fa impressione solo a vederla), un’affermata e bellissima giornalista televisiva, fidanzata con un affermato e bellissimo (nonché ricco) giocatore di baseball. In attesa di felice matrimonio e di un’agognata promozione sul lavoro, l’avvenente protagonista passa le sue giornate tra la frenesia del lavoro e la pace relativa del suo grande, spazioso e ben arredato appartamento. La domanda a questo punto, recita l’adagio, sorge spontanea: forti di queste premesse è, dunque, la sua vita davvero perfetta? Quasi! risponde il saggio autore di questa favoletta da biscottini cinesi della fortuna, perché vuolsi così là dove si puote (nelle menti contorte degli sceneggiatori di tanti polpettoncini americani), che un giorno, andando ad intervistare un vero e proprio indovino (un barbone che, ad onor del vero, non ci sbaglia proprio mai), le venga predetto che, di lì a sette giorni morrà e che, oltretutto, dovrà dire bye bye anche alla promozione tanto attesa. La profezia, naturalmente, che dimostra di esser vera già sulle situazioni lavorative, costringe la povera Lanie ad un vero e proprio esame di coscienza. Ripensando la propria vita passata, riguardando i valori che l’avevano spinta nel suo bisogno di successo ella scopre (incredibile a dirsi!) che negli ultimi tempi ella aveva dedicato tutta se stessa alla realizzazione di un successo personale (la gloria della televisione) che sarebbe poi evaporato (di nuovo acqua calda) lasciandola sola e senza amore. Ora, però, che il destino la vuol privare di un futuro, Lanie non può non rendersi conto che le cose che contano davvero non sono successo e soldi, ma sentimenti sinceri e pensieri semplici. Ad aiutarla in questo percorso esistenziale sarà non il suo attuale compagno, ma il collega (ed ex) Pete (Edward Burns: efficace) che dimostrerà di essere sempre stato il compagno sincero e spassionato che ella aveva cercato. A metà tra commedia leggera e film d’impegno moraleggiante, la pellicola sembra sempre essere indecisa su quale partito prendere, rimanendo dolorosamente a cavallo di generi e definendosi come un prodotto ambiguo e, spesso, fin troppo spurio. Se il messaggio che lancia non può non apparire banale e scontato, non meno banale ci appare anche la qualità della regia che tenta di veicolarlo. Al regista manca, in effetti, sia la leggerezza di tocco di un Lubitsch che la sincera convinzione di un Capra, nonché la capacità di gestire il cast messo in campo. Come accade in molte recenti commedie americane è proprio nel versante dei protagonisti che il casting si rivela carente, mettendo in campo dei volti decisamente inadeguati all’andamento del racconto; al contrario, tutta la sezione dei comprimari e dei camei rivela insospettate finezze e momenti quasi geniali. La sceneggiatura, tipizzata su una formula di racconto ormai standardizzato (il che non necessariamente è un male), ha qua e là qualche momento divertente e, a volte, riesce addirittura ad avverare quel bisogno di riflessione che doveva essere l’anima del film. Ma sono solo sprazzi all’interno di una pellicola sostanzialmente sbagliata.

(Life or something like it); regia: Stephen Herek; sceneggiatura: John Scott Shepherd, Dana Stevens; fotografia: Stephen H. Burum; montaggio: Trudy Shirp; musica: David Newman; interpreti: Angelina Jolie, Edward Burns, Tony Shalhoub, Christian Kane, Stockard Channing; produzione: Kenneth Atchity, John Davis, Toby Jaffe; origine: Usa, 2002; distribuzione: Medusa

[maggio 2003]

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