Anime nella nebbia

1942. Confine occidentale dell’Unione Sovietica. La regione è sotto l’occupazione tedesca e i partigiani del luogo stanno portando avanti, lottando, la loro campagna di resistenza. I partigiani Burov e Voitik, dopo l’esecuzione di tre loro compagni per il sabotaggio di un treno, giungono nella casa nella foresta di Sushenya per portarlo via e giustiziarlo. L’uomo è accusato di tradimento: anche lui arrestato e ritenuto colpevole dai tedeschi per il sabotaggio del treno è stato poi inspiegabilmente rilasciato. Inizia così un viaggio nella foresta che diventa un confronto pieno di contraddizioni e soprattutto un percorso a ritroso nel passato dei tre personaggi.
In the Fog, in concorso a Cannes 2012, ci riporta sullo schermo un protagonista solo, incapace di comunicare con la società, di dimostrare la sua innocenza, e che così rimane vero esclusivamente con se stesso, fermo nelle sue convinzioni e decisioni, e non risulta capace di scendere a compromessi o semplicemente a crimini, perché la legge morale che si porta dentro lo spinge a scelte completamente differenti. Si ritrova quindi in una situazione in cui vuole preservare la sua umanità e la sua dignità e che per farlo non può sperare di vivere troppo a lungo. Insieme a lui, nella fredda foresta sovietica, i due partigiani chiamati a giustiziarlo.
Le vicende dei tre personaggi non vengono raccontate in sequenza cronologica, bensì attraverso una narrazione lineare preceduta da un suggestivo prologo introduttivo e intervallata da tre lunghi flashback necessari a comprendere i caratteri dei protagonisti, le loro ragioni, le loro verità.
Tratto dal romanzo Vasili Bykov’s, il film di Sergei Lonznitsa apre un ennesimo sguardo sul secondo conflitto mondiale. Ma sin dalle prime sequenze appare evidente che non è la guerra in sé che interessa all’autore, bensì la condizione psicologica degli uomini che ci si ritrovano coinvolti. Senza nessuna musica di commento e con interminabili sequenze, il regista bielorusso, fedele alla sua precedente carriera artistica nel documentario, rimane sempre vicinissimo ai suoi personaggi, ne mette in evidenza le contraddizioni. E il giudizio sulle loro scelte è sempre pregno di comprensione, di affetto, di rispetto nei confronti di una condizione esistenziale imposta e non voluta. Lo sguardo di Loznitsa infatti pur non staccandosi dai tre protagonisti non si dimentica mai di inserirli in un contesto ben definito, in un ambiente freddo, glaciale, amorale, senza punti di riferimento veri e propri. La foresta nebbiosa che fa da sfondo ai tre ritratti umani appare sullo schermo come un luogo sospeso, un purgatorio dell’anima dove non ci sono né amici né nemici, dove scompare la linea che divide codardi ed eroismo e dove il destino dei suoi “abitanti” appare già segnato.
Visivamente strutturato su una fotografia suggestiva nella sua classicità, a firma di Oleg Mutu (lo stesso di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Mungiu per intenderci), dai colori pastello sbiaditi del giorno e dai chiaroscuri notturni, In the Fog possiede un incedere narrativo molto lento che non nasconde i lunghi silenzi e i momenti vuoti del racconto. Una scelta quest’ultima che induce ancor di più a pensare, a riflettere, a ragionare sulle tragedie del passato e sulla debolezza dell’animo umano.
(V Tumane) Regia: Sergei Loznitsa; sceneggiatura: Sergei Loznitsa, dal romanzo di Vasil Bykov; fotografia: Oleg Mutu; montaggio: Danielius Kokanauskis; suono: Vladimir Golovnitski; interpreti: Vladimir Svirski, Vlad Abashin, Sergei Kolesov, Vald Ivanov; origine: Russia, Lituania, Olanda, Bielorussia; durata: 127’.
