VAN HELSING

Van Helsing o dell’usura della meraviglia. C’è chi capisce ogni cosa prima ancora che accada, e la mette in pratica con tale furibonda ansia da esaurire preventivamente un filone. Fatto! E via verso nuove avventure della visione. Questo se sei un genio, ti chiami Francis Ford Coppola, e fai Dracula, dicendo una parola definitiva sulla rilettura dei fantasmi classici dell’immaginario orrorifico che l’era digitale avrebbe preteso. Pensandone già in forme distillate la deriva ipertrofica, ma recuperando insieme i fondamenti fantastici di Méliès, Murnau e Bava. E proiettando sul futuro una domanda: che senso avrebbe ancora avuto pensare operazioni del genere, quando tutto ormai era già stato detto con tale pervasività? Stephen Sommers non ci ha pensato più di tanto, e si è cocciutamente dedicato al rispolvero di tutta la galleria degli Universal Monsters, prima la mummia da sola, poi in allegra accozzaglia Frankenstein, Dracula e uomo lupo (senza tralasciare un Jekill-Hide che sembra venire da La leggenda degli uomini straordinari), come nei b-movie degli anni Quaranta. Per la verità il suo modello prevalente sembra il Lucas di Indiana Jones, fin dal gioco col globo della Universal che si muta nella torcia di uno dei paesani che vanno a bruciare il barone von Frankenstein e la sua creatura; e poi nel tratteggio rodomontesco del suo eroe, un cowboy cacciatore di incubi che già prevede James Bond, ha sempre la battuta più che pronta e il piglio avventuroso del Capitan Kronos della Hammer, più che il tratto segaligno e nervoso del Van Helsing tratteggiato da Peter Cushing. Finché ci si mantiene su questo piano giocoso non si può negare il divertimento. Sommers paga anche i suoi omaggi di superficie all’estetica dell’ombra di Freund e Whale, prima di abbandonarsi alla solita estetica baracconesca del botto libero. Ma c’è sempre qualcosa che manca a questi shooter: il senso della misura, per esempio. Capire che un bel gioco così non può andare avanti per più di un’ora e mezza. Invece Van Helsing procede ad elastico contro ogni norma di progressione narrativa: un dialogo, una botta d’azione, un dialogo, e così via. Dopo un’ora potrebbe essere bell’è finito, come si potrebbe trascinare in eterno. E poi c’è la questione dei giocattoli per eccellenza: CGI, motion control system e Co., che hanno spazzato via il trenino elettrico di Welles o il dolby di Spielberg. Anche qui, o ci si chiama Lucas, e si è il Griffith del digitale, o la smaterializzazione di tutto il corpo del profilmico conduce a rapida sazietà, e la meraviglia arriva ai sensi già digerita. Climax dopo climax, orgasmo dopo orgasmo, l’assalto finale agli occhi e alle orecchie spinge fatalmente al sonno. Ma questo è un problema più generale. Basti guardare i trailer di ciò che ci aspetta (che i film interi non regge il cuore di vederli) per toccare con mano la devastante crisi d’immaginario dei blockbuster hollywoodiani. Appena le battaglie del Signore degli anelli hanno dato una nuova linfa alle possibilità dell’immaginazione, vengono riproposte pedissequamente sotto le mura di Troia. Appena Raimi ridà un senso al senso fumettistico della fantasia, schiere di avvoltoi si lanciano a depredarlo delle sue invenzioni. Eimmerich continua imperterrito a distruggere il mondo. Cameron tace appagato. Le nuove leve non sono incoraggianti. Non ci resta che aspettare un Cleopatra che affossi questo sistema malato. Poi si vedrà.
[maggio 2004]
Cast & credits:
Regia e sceneggiatura: Stephen Sommers; fotografia: Allen Daviau; montaggio: Bob Ducsay, Kelly Matsumoto; musica: Alan Silvestri; scenografia: Allan Cameron; costumi: Gabriella Pescucci; interpreti: Hugh Jackman, Kate Beckinsale, Richard Roxburgh, David Wenham, Will Kemp, Kevin J. O’Connor, Shuler Hensley; produzione: Stephen Sommers, Bob Ducsay per Universal Pictures; origine: USA 2004; distribuzione: UIP.
