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VENEZIA 59° E I FUOCHI D’ARTIFICIO DI DE HADELN

Pubblicato il 16 dicembre 2003 da Giovanni Spagnoletti


VENEZIA 59° E I FUOCHI D'ARTIFICIO DI DE HADELN

Dunque, a seconda dei casi più o meno cauti & guardinghi, ma nel complesso i commenti della stampa sono stati moderatamente positivi alla presentazione alla stampa del programma - non meno ricco del solito sulla carta - del Festival di Venezia. Almeno un primo punto a favore, quindi, del nuovo direttore Moritz de Hadeln (ad interim, solo per quest’anno e basta, affermano i soliti beni informati) che ha così sfatando disinformate cassandre, secondo cui era quasi impossibile presentare un cartellone decente per la Mostra del Cinema. Ma parlare di miracolo a riguardo - per quanto ciò faccia parte dei riti e del folklore locale italico -, sembra fuori luogo. Per la semplice ragione che un Festival importante e vecchio come la Biennale (fu fondata ben 70 anni fa’ a lustro del fascismo, anche se conta solo 59° edizioni con la presente) si fa in gran parte automaticamente anche senza la presenza del manovratore e che quindi i quattro mesi e una settimana di lavoro dell’ex-Kaiser di Berlino non saranno certo stati tanti ma almeno sufficienti per portare all’opinione pubblica una rossa cartella con i titoli del cartellone e il nuovo logo istituzionale. Cosa, allora, ci si può aspettare dal programma? Molto probabilmente un’edizione di transizione - ma qualcuno ironizza con più di una ragione su un’accezione del genere, visto che dai lontani tempi del ’68 e di Luigi Chiarini la Biennale è sempre in situazione d’emergenza e in costante fase di transito. E l’imminente non fa eccezione, anche perché, l’ha pubblicamente ammesso il presidente Franco Bernabè, i problemi strutturali non sono affatto risolti e c’è solo da augurarsi che un fanatico dell’organizzazione come de Hadeln almeno realizzi una maggiore funzionalità delle fatiscenti strutture sul Lido. Ma a prescindere da ciò, non c’è dubbio che rispetto al recente passato un qualche colpo di pollice il nuovo Direttore l’abbia dato, ammesso che il programma rimanga quello annunziato e non perda troppi pezzi per strada (leggi i filmoni americani con annesse star) - e in questo senso (un campanello d’allarme?) si sono già messe le mani avanti. Seguendo i suoi tradizionali gusti ultraconservatori e andando incontro ad una sempre forte vocazione modaiola locale (orsù meno iraniani&orientali e più glamour&feste), il programma di de Hadeln si assesta su una comoda, scontata diarchia Stati Uniti-Europa che ha come assi portanti da una parte mamma Miramax (la benefattrice di ogni Festival che si rispetti) e dall’altra i più forti poli del vecchio continente. Francia ovviamente per quel poco che è avanzato da Cannes e dai disastri Vivendi, e una rediviva Germania (due film nel Concorso A!). A ciò si aggiunge - oltre ad una retrospettiva Antonioni, grazioso dono di Cinecittà Holding ed omaggi sfusi in varie salse (a Risi, Zavattini, Camerini, ecc.) - uno spiegamento italiano di grande rilievo con ben tre film in Concorso che speriamo non ci deluda in modo troppo cocente. Sistemati questi punti cardine, il programma contiene, a parte diversi nomi bolliti (per esempio A. Holland, A. Koncalovskij, P. Leconte, L. Cavani, ecc.), anche qualche elemento di continuità con il passato di Alberto Barbera. Per esempio la riproposizione di Clint Eastwood con la sua ultima opera Bloodwork nella sezione minestrone Fuori Concorso - Eventi speciali e soprattutto l’esperimento della doppia Competizione articolato in Venezia 59 e Controcorrente, nuovo nome per il Cinema del presente dell’anno scorso. Abbastanza misteriosi, scorrendo i titoli, restano i criteri perché nell’una (più classica) e perché non nell’altra (più innovatrice del linguaggio cinematografico) ma al solito, si dice, la concreta prassi (??!!) sugli schermi del Lido chiarirà il busillis. Una certa presenza di opere-prime, comunque, non può nascondere il fatto che, molto di più di anni passati, la sperimentazione e la ricerca del nuovo si è andata concentrando solo nella sezione dei Nuovi Territori (particolarmente nutrita) e in quella (indipendente) della Settimana Internazionale della Critica. Ad esse, dunque, va la nostra simpatia, cinefila e preconcetta, nella speranza che la Mostra del Cinema continui ad essere un Festival di livello. Ancora ignota resta, infine, la composizione della Giuria, pezzo fondamentale del meccanismo concorsual-festivaliero. La scelta dell’attrice Gong Li (già a Berlino qualche anno fa’ se la memoria non ci inganna) come presidentessa non lascia ben sperare ma attendiamo pazienti i nomi degli altri giurati. Con l’augurio, e chiudiamo, che il tutto non sia, all’italiana, molto fumo e poco arrosto, polveri spente, nel perenne trionfo delle apparenze sulla realtà di sostanza.


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