VENEZIA ’61 - LA LOGICA DEL MERCATO TRE PER UNO

La Mostra sta per concludersi e un senso di vuoto inizia a colpire coloro che l’hanno seguita tra ritardi, file estenuanti, maleducazione e arroganza del personale, successione di film senza pausa, e, notizia di oggi, scambi di pizze (dopo le prime due parti di Eros, al posto della terza è stato inavvertitamente proiettato il pezzo di un altro film!). Abbiamo visto e abbiamo dimenticato perché non c’era il tempo di ricordare, di ripensare, di confrontarsi. A vincere è stata la logica del mercato che impone il tre per uno, ossia ti diamo un buon film se ne proietti altri due a scatola chiusa. Solo così si può spiegare la presenza in concorso, ma anche nelle altre sezioni, di certe pellicole che hanno lasciato a dir poco sconcertati gli spettatori. In un programma così compresso sono state imposte scelte senza ritorno: o vedi il film oggi a quest’ora o mai più, tanto non siamo interessati alla tua opinione. Non conta che i film siano visti, a farla da padrone è la quantità, la lista di nomi e titoli, e le marche di automobili fuori dal Casinò. Poche repliche, conferenze stampa preordinate, incontri esclusivi, politici e burocrati disseminati per il Lido, a ricordare che tutto è nelle mani di pochi. Ma insomma quale funzione assolve un festival del cinema?
Si parla molto delle carenze organizzative, ma in realtà si dovrebbe fare un passo oltre. I ritardi e i disservizi potranno sorprendere gli stranieri che, però, tornando a casa manterranno di questi dieci giorni solo un cattivo ricordo e niente più. Per noi italiani è la norma. Da lunedì prossimo sarà la stessa storia, il Lido è solo “l’esaltazione” del nostro vivere quotidiano (solo nel mangiare si avverte la differenza). Il punto è un altro. La Mostra del cinema va ripensata a partire dall’idea che gli organizzatori hanno del cinema e della visione delle opere. Non è questione di nomi e di direttori. E poi in sé questa è stata una buona Mostra. Tuttavia, contano di più i distributori degli autori, gli uffici stampa dei critici, le operazioni di marketing alle riflessioni, e così via. Il disastro dei ritardi, la cattiva gestione degli accrediti, le proiezioni ridotte a tre se non addirittura a due e per giunta in orari impossibili, il costo insostenibile della vita al Lido, sono tutte conseguenze di una filosofia distorta. Se, ad esempio, più di una voce ha reclamato meno film in programma, non lo ha fatto per lavorare di meno, ma per pensare di più. Solo che evidentemente per i burocrati e i politici della Mostra, pensare stanca, parafrasando uno dei film in concorso che ha “sfrattato” l’ottimo documentario sulla questione cecena, Melancholian Kolme Huonetta (I 3 stati della melanconia) della regista finlandese Pirjo Honkasalo.
A proposito di cinema italiano. Vedi Kim Ki-duk e poi ti chiedi: possibile che una storia così semplice, ma emozionante e poetica che non ha bisogno di alcun dialogo, i nostri autori non riescano proprio a concepirla? Vedi Araki e pensi: come mai in Italia non v’è traccia alcuna di irriverenza, non si prova mai a graffiare? Vedi Spike Lee e constati che Tangentopoli non ha ancora trovato cittadinanza nelle sale cinematografiche, per non parlare delle relazioni omosessuali. Vedi Mann e non pensi a niente, tanto quello è fuori portata. E nonostante tutto, dopo aver appurato la mediocrità del cinema italiano al Lido, alla fine potrebbe essere proprio un film nostrano (The Raicinema Candidate) a prendere il Leone più ambito. A questo punto non resta che aspettare domani, anche i piani più diabolici hanno un punto debole.
[settembre 2004]
