Melbourne

L’impossibilità di sognare in una società troppo immersa nelle sue contraddizioni sociali e politiche, che come una morsa stringe e soffoca i suoi protagonisti per poi imprigionarli. È forse questo il nucleo fondamentale introno a cui si snoda e prende vita il cinema iraniano di oggi nella sua quasi totalità. Un cinema profondamente morale che edifica le proprie storie in chiave intimistica, ponendo al centro questioni etiche universali. Il sottotesto politico rimane sempre velato, in contro luce, pronto però a esplodere ed a manifestarsi attraverso le complesse dinamiche che coinvolgono i suoi personaggi. E Melbourne, opera prima di Nima Javidi che apre l’ultima edizione della Settimana della Critica, non si discosta affatto da questi caratteri.
Attraverso una cifra stilistica del tutto personale – nonostante i chiari richiami al suo connazionale Asghar Farhadi - Javidi costruisce la pellicola su un sogno che difficilmente potrà essere realizzato. L’opera si apre con l’entusiasmo di una giovane coppia in procinto di partire per la volta dell’Australia, dove sperano di costruirsi un futuro e proseguire i loro studi. Un tragico evento però ritarderà questa partenza, ponendoli di fronte a delle domande esistenziali a cui forse è impossibile concedere una risposta.
Ed è proprio questo l’aspetto più interessante della pellicola, così come di molto cinema iraniano in generale. Javidi pone i suoi personaggi di fronte a responsabilità individuali ed etiche, in cui ognuno di essi reagisce differentemente generando un conflitto che occuperà l’intero decorso narrativo. Ma il regista si rifiuta di concedere delle risposte, lo stesso finale aperto sembra rimarcare proprio tale scelta autoriale. La macchina da presa è priva di uno sguardo accusatorio e moralista, segue i protagonisti del dramma scrutandone le reazioni e le emozioni. In tal senso appare sempre più evidente il richiamo a Farhadi con i suoi precedenti ed acclamatissimi Una separazione e Il passato – richiamo enfatizzato ancor di più dalla presenza di Payman Maadi, protagonista di Melbourne e di Una separazione. Così come il suo concittadino, anche il giovane Javidi costruisce la narrazione morale su di un impianto visivo piuttosto statico in cui primeggiano campi medi e inquadrature fisse all’interno di uno spazio ancor più claustrofobico. Ma se nei film di Farhadi la performance interpretativa – superlativa in entrambi i casi – si costruiva per aggiunta, in questo si costituisce per sottrazione, senza per ciò risultare meno funzionale, tutt’altro. L’esordio del giovane regista lo si potrebbe definire un’opera completa e riuscita sotto ogni punto di vista, grazie ad una sceneggiatura solida e lineare ed una regia dal tocco stabile e delicato, arricchita senza dubbio dalle toccanti interpretazioni dei protagonisti Maadi e Negar Javeherian. Un film che, seppure selezionato all’interno di una sezione collaterale del Festival, speriamo possa avere la risonanza che merita.
(Melbourne); Regia e sceneggiatura: Nima Javidi; fotografia: Hooman Behmanesh; montaggio: Sepideh Abdolvahab; musica: Hamed Sabet; interpreti: Payman Maadi, Negar Javaherian, Mani Haghighi, Shirin Yazdanbakhsh, Elham Korda, Roshanak Gerami, Mehrnoosh Shahhosseini, Alireza Ostadi; produzione: Qabe Aseman Art Institute; distribuzione: Microcinema; origine: Iran, 2014; durata: 93’
