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Ella & John - The Leisure Seeker

Pubblicato il 18 gennaio 2018 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Ella & John - The Leisure Seeker

Quando Billy Wilder venne in Italia per girare, sull’isola d’Ischia, Cosa è successo fra tuo padre e mia madre?, con Jack Lemmon e Juliet Mills, per il ruolo dell’efficientissimo direttore dell’albergo la produzione aveva opzionato un grande attore italiano, Romolo Valli. I dialoghi prevedevano un ritmo serrato, anzi indiavolato, di botte e risposte, e per quanto Valli conoscesse e pronunciasse un inglese corretto e puntuale, non riusciva a star dietro alla velocità delle battute di Lemmon, tanto che fu, a malincuore, sostituito con un attore madrelingua inglese, Clive Revill. L’intesa tra lui e Lemmon fu assolutamente perfetta. Considerazioni del genere possono tornare in mente ogni volta che un film nasca dalla collaborazione di menti e personalità provenienti da diversi paesi del mondo innestate in contesti geografici estranei al loro quotidiano vissuto, per raccontare l’incontro/scontro di culture ed etnìe differenti. Là dove, però, questa differenza fosse causa di un intoppo alla buona riuscita del prodotto, si renderebbe necessario un rimedio drastico. La visione di The Leisure Seek (Ella & John) che Paolo Virzì ha portato in concorso a Venezia 74 non fa che suggerire, dall’inizio e per tutto il suo corso, quali incomprensioni non tanto linguistiche tra il regista e i suoi due attori protagonisti (due mostri sacri: Helen Mirren e Donald Sutherland), quanto di linguaggi tra due differenti idee di cinema abbiano causato il soccombere di una, determinando l’appiattimento dell’altra. Cinema italiano e cinema americano, o meglio anglofono, hanno da sempre flirtato sullo schermo con risultati spesso folgoranti per una sorta di miracolosa e fertile frizione tra i due elementi, ancor più evidenziata dalla precisa discernibilità di due stili e concezioni di vita radicalmente agli opposti, eppure così reciprocamente stimolanti (non è raro, del resto, che accada così anche in amore). Stavolta però, e va detto con il disappunto di chi considera Virzì il massimo e forse anzi l’unico erede della Commedia all’Italiana degli anni ’60 e ’70, la miscela “doesn’t work”. Se nel ‘tradurre’ per il cinema Il capitale umano dello scrittore statunitense Stephen Amidon, Virzì aveva scelto di trasferire situazioni e personaggi nell’italianissima Brianza, adeguando con esito più che felice i contenuti del romanzo alla situazione sociale, politica ed economica dell’odierna Italia della crisi economica, nell’adattare il romanzo cult di Michael Zadoorian che ha lo stesso titolo di questo film interamente girato in America e in lingua inglese, pare abbia voluto abdicare alla consueta sua propria cifra di narratore italiano a suo totale agio con genti e paesaggi italiani, per sostituirla con… con cosa? Ecco, questo è il problema maggiore di The Leisure Seek: nel raccontare on the road il paesaggio americano e nell’abbozzare personaggi e situazioni di contorno alla vicenda della solida coppia di anziani malati (lei terminale di cancro, lui di incipiente Alzheimer), Virzì si ritrae, si nasconde, e allestisce una regia impersonale che ne rende irriconoscibile la consueta mano scanzonata e graffiante, tenera e profondamente umana con cui ha diretto quasi tutti i suoi film precedenti. Né la sceneggiatura, scritta addirittura ad otto mani insieme a Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e lo Stephen Amidon autore del romanzo Il capitale umano, brilla per arguzia e fantasia. I due “mostri sacri” Mirren e Sutherland appaiono spaesati e abbandonati a se stessi (chi, sull’onda di un entusiasmo ingiustificato, già ipotizza per almeno uno dei due una candidatura all’Oscar ha preso, secondo chi scrive, una cantonata, considerando anche la pessima accoglienza della stampa americana che il film ha riscontrato qui al Lido), inventandosi in tandem un ritmo tutto loro, non sempre in sintonia con la regia distratta e appena funzionale di Virzì. Le cause di un film così anonimo e “anni ‘90” sembrerebbero non essere alcune sostanziali modifiche al romanzo, che ha come protagonisti due anziani lavoratori che da Detroit decidono di viaggiare fino a Disneyland per incontrare per la prima volta in vita loro Topolino (icona vincente e pop dell’American dream), mentre nel film sono due borghesi abbienti che partono dall’intellettuale Boston verso le spiagge di Key West per visitare la casa di Hemingway, idolo di lui, ex professore di Letteratura: il vero problema, e forse tra i limiti più forti di questo esperimento made in USA di Virzì, è che a farne le spese è proprio il viaggio, il senso stesso di un percorso interiore fatto di tappe e progressivi cambiamenti, che il cinema americano ha declinato cento e cento volte, in alcuni casi con risultati indimenticabili. In The Leisure Seek la svogliata fotografia di un Luca Bigazzi un po’ ‘in prestito’, adeguandosi alla sciatteria generale, nemmeno tenta di reinterpretare il paesaggio con occhio ‘italiano’, o comunque di catturarne quella spettacolarità cui altri titoli ci hanno abituati in passato. Un compitino, insomma, che getta un’ombra difficilmente scansabile sulle carriere di Virzì in primis, ma pure dei disorientati Helen Mirren e Donald Sutherland. Altro che Oscar…


CAST & CREDITS

(The Leisure Seeker); Regia: Paolo Virzì; sceneggiatura: Francesca Archibugi, Paolo Virzì, Francesco Piccolo, Stephen Amidon; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Jacopo Quadri; musica: Carlo Virzì; interpreti: Helen Mirren, Donald Sutherland; produzione: Bac Films, Indiana Production Company, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, USA, 2017; durata: 112’


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