Venezia 75 - Goodbye Marilyn - Giornate degli autori
Immaginate che bello sarebbe un universo parallelo in cui Marilyn Monroe non è morta. Un universo in cui ha continuato a vivere. Un mondo in cui, invece che imbottirsi di pillole, Norma Jean ha trovato la forza di fare quello che, in fondo, desiderava: sottrarsi dalle scene e riprendere a vivere una vita tutta sua.
Goodbye Marilyn (sia il graphic novel uscito ormai da un paio d’anni che il cortometraggio di Maria Di Razza presentato a Venezia nella sezione autonoma Giornate degli autori) parte proprio da questa ipotesi quasi dickiana.
Marilyn Monroe, in questo mondo di pura fantasia e consolazione, è ancora viva, benché anziana. Solo che, a un certo punto, proprio all’apice del suo successo, ha fatto un taglio netto con la sua carriera di attrice preferendosi ritirare a vita privata.
Non più film, quindi. O interviste. Solo il quieto anonimato di chi, lasciato un passato di contraddizioni alle spalle, decide di vivere riscoprendo la libertà inaudita dallo sguardo di un pubblico adorante che pone l’oggetto venerato alla stessa altezza delle stelle e, nel farlo, lo imprigiona per sempre.
Nel corto sono passati quaranta anni da quando Marilyn ha abbandonato la luce dei riflettori per cercarne una più intima e piccola nel chiuso del proprio cuore. E in tutti questi anni non ha mai rilasciato un’intervista. Ne concede una solo a un uomo, figlio di uno dei soldati che la videro ballare e cantare a pochi passi dalla guerra in una notte di leggenda. Figlio di quel pubblico che più seppe trasformarla da donna a stella.
La decisione di questa concessione proprio sul finire dei suoi anni, sta nel non detto. Forse perché nella lettera di richiesta di un colloquio c’era allegato il disegno della figlia del giornalista che ritrae l’icona di Marilyn sottratta al tempo e fatta mummia baziniana. O, forse, semplicemente, perché il tempo è giunto e la notte è troppo vicina per non cercare un ultimo barlume di luce.
I tredici minuti di proiezioni sono quasi tutti dedicati all’intervista, fatto salvo un prologo che racconta del giornalista che prepara la richiesta del colloquio e un epilogo che mette in una scena di danza delicata tutto il senso di un commiato.
L’intervista impossibile, da parte sua, inventa poco e molto ricuce i frammenti di discorsi, poesie e pensieri di una donna distrutta dal successo e dagli uomini che ha avuto.
L’animazione di Goodbye Marilyn è minimale. Il disegno è fumettisco quanto serve, a campate di colore in cui domina il rosa più femminile e suadente. Il suono è tutto concentrato sulle voci (tre in tutto) e sul movimento poetico delle parole e delle rievocazioni.
Il tutto a comporre una riflessione sulla distanza tra divo e persona, con un occhio al nuovo contesto divistico che rinuncia alla distanza (tra uso smodato dei social e dei seflie) e perde ogni mistero.
Niente di trascendentale, forse, ma comunque un omaggio bello a quell’oggetto amato e fassbinderianamente ucciso dal nostro stesso desiderio.
(Goodbye Marilyn); Regia: Maria Di Razza; sceneggiatura: Oliviero Del Papa; montaggio: Pietro D’Onofrio; musica: Antonio Fresa; interpreti: Maria Pia Di Meo (Marilyn), Gianni Canova (giornalista), Lucia Rocco (ragazza); produzione: marechiarofilm; distribuzione italiana: Zen Movie; origine: Italia, 2018; durata: 13’