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Venezia 75 - Il teatro al lavoro - Notti veneziane

Pubblicato il 6 settembre 2018 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 75 - Il teatro al lavoro - Notti veneziane

Tra la fine del 1939 e l’inizio del 1940 Louis Jouvet, uno dei più grandi attori e registi del teatro francese, tiene una serie di lezioni incentrate su un possibile allestimento del Don Giovanni di Moliere.
L’allieva cui sono rivolte gran parte della cura e delle attenzioni di Jouvet si chiamava Paula Dehelly ed era una giovane attrice di origini ebraiche presto costretta ad abbandonare le scene per via delle leggi razziali.
Le lezioni furono stenografate da Charlotte Delbo, una donna che era entrata nella resistenza che fu poi catturata e portata ad Auschwitz dove non morì perché, come Levi che ricorda il canto di Ulisse, riuscì a fare della memoria delle lezioni e delle parole di Moliere, un motivo di vita.
Il risultato di questi destini incrociati fu che le lezioni trovarono spazio in un volume, Molière et la comédie classique, edito da Gallimard nel 1965 (quindi quattordici anni dopo la morte di Jouvet).

Il passaggio del testimone non finisce, però qui. Brigitte Jacque, una drammaturga francese, nel 1986 mette mano alle lezioni e ne trae una pièce teatrale in sette quadri in cui gli aggiustamenti drammaturgici rispetto al testo di partenza sono pochi e necessari (Paula assume il nome fittizio di Claudia), mentre la complessa riflessione di un autore che mette in scena un testo resta preservata in dialoghi di una purezza espressiva che ha del sublime.
Nella pièce, la compagnia di attori che lavora sul Don Giovanni di Molière, vive nello sfondo doloroso del secondo conflitto mondiale che però resta esterno. Il teatro, diventa quindi per i personaggi (e come era anche per Jouvet e Paula Dehelly) una sorta di grembo uterino nel quale rifugiarsi, un’oasi felice che non nega l’esistenza della guerra fuori, ma per un po’ se ne astrae per perdersi nella ricerca del bello.
Ed è probabilmente in questo contrasto tra il "dire" della ricerca dell’arte e il "non dire" dei dolori lasciati fuori del palcoscenico che risiede la straordinaria profondità di un testo che non è solo un backstage che racconta il graduale appropriarsi di un testo da parte di attori affamati di teatro.

Tra il 2017 e il 2018 Toni Servillo, penultimo passaggio di consegna raccontato ne Il teatro al lavoro, raccoglie la sfida e decide di mettere in scena il testo della Jacque in una tournée che passa anche per la Parigi di Jouvet e del suo teatro. Nel farlo il grande attore e regista partenopeo si circonda di un piccolo gruppo di giovani attori e accetta l’idea di trasformare il lavoro dell’allestimento in una piccola scuola aperta anche all’udizione di altri studenti, nonché di una telecamera (ed è l’ultimo giro di staffetta) per un documentario di Massimiliano Pacifico di poco più di un’ora.

Anche quelle di Servillo sono, dunque, delle vere e proprie lezioni che si muovono su quelle immaginate dalla Jacque imbastite su quelle autentiche di Jouvet in un gioco di rispecchiamenti vertiginoso.
Vero e Falso si confondono nel momento in cui dal vero (le lezioni di Jouvet) si passa al falso (il dramma della Jacque) che aspira, come tutto il teatro, ad inverarsi nella messa in scena di Servillo che nel frattempo scrive le sue lezioni (vere) mentre una telecamera lo filma riportando il tutto al falso relativo delle immagini filmate.

Che il documentario di Pacifico faccia il suo mestiere lo si capisce bene nel momento in cui, da spettatori, perdiamo l’orientamento e non riusciamo più a capire (come gli stessi attori della compagnia) se quel che viene detto sia la lezione di Servillo o quella di Jouvet in essa contenuta come una matrioska.
Quel che è certo è che la storia di una messa in scena su una messa in scena di una messa in scena (se vi gira la testa è un bene!) presta il braccio ad una riflessione sul senso stesso del teatro che vive nel momento, ma vive anche del momento. Un teatro inteso come frutto di un lavoro alacre, in cui la massima falsificazione (un attore che finge di essere un attore che finge di essere un personaggio) si ribalta, come sempre accade quando il teatro è quello buono, nella vita vera.
Perché come dice Servillo (ma forse era Jouvet) il senso del teatro sta proprio in quel momento in cui, per incanto, lo spettatore cessa di sentirsi davanti a uno spettacolo e si ritrova di fronte, pur nella certezza che ciò che vede è falso, l’impressione della vita vera.
Sta tutta qui la bellezza peregrina di Il teatro al lavoro, nella sua bugia sincera di backstage di vocazione filosofica.
Ma sta soprattutto nel suo metterci di fronte al mistero del lavoro dell’attore e all’infinita pazienza che occorre per aspettare che il personaggio che aspettiamo alla fine, e semplicemente, sia.


CAST & CREDITS

(Il teatro al lavoro - Theatre at Work) Regia: Massimiliano Pacifico; fotografia: Diego Liguori; montaggio: Diego Liguori; interpreti: Toni Servillo, Petra Valentini, Davide Cirri, Francesco Marino; produzione: Teatri Uniti, Rai Cinema; origine: Italia, 2018; durata: 60’


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