Venezia 75 - Ricordi? - Giornate degli autori
Il presente non esiste, ci diceva il filosofo.
Il poeta faceva un passo oltre e diceva che
è questa vita un lampo
ch’all’apparir dispare
in questo mortal campo:
che se miro il passato
è già morto, il futuro ancor non nato,
il presente sparito
non ben anco apparito.
Si chiamava Angelo Grillo e nella selva morale e spirituale di questo mondo dava il non senso della vita in pochi versi.
Il compositore ne aveva fatto musica immortale per i secoli a venire. Claudio Monteverdi era il suo nome e per lui la musica era l’unico mezzo per far sentire la fugacità disperante della vita e l’impossibilità di conservarne, nel ricordo, la purezza che sembrava aver avuto un tempo.
Nel 2018 il filosofo continua a dire che il presente non esiste.
Il paradosso nel secolo nuovo delle immagini in movimento è che, per lo spettatore, cinema è un verbo che si coniuga al presente. Per mettere un immagine al passato ci vuole l’artificio: il bianco e nero, la musica evocativa, la voice over che ci spiega. Ma, per quanti sforzi si faccia a dare un tempo, tutto resta niente più che un gioco di relativismi. Il narratore che è dietro la macchina da presa sceglie un pezzo di film e ci dice che quello, e solo quello, è il presente della sua narrazione. Tutte le altre immagini, non ha importanza se prima o dopo nel flusso della proiezione, si mettono in cronologia e lo spettatore impara presto a distinguerle nel corpo della narrazione.
Tutto funziona fino a che l’autore, poeta come il Grillo secentesco, si adegua a piccole norme più o meno scritte. Se, però, il gioco gli sta stretto e una distinzione troppo netta tra prima e dopo lo infastidisce, ecco che ci si può divertire a confondere le acque.
Ricordi? parte all’insegna di questo spiazzamento. Siamo al presente, poi un taglio di montaggio ci dice che eravamo in un flash-back, ma al taglio successivo ci accorgiamo che il flash-back era contenuto dentro un altro flash-back come in un gioco di scatole cinesi.
Di più. A un primo narratore ne subentra un secondo e poiché il ricordo è soggettivo ed è soggetto alla distorsione individuale, ecco che le immagini cambiano colore e sostanza in base a chi si fa carico del racconto in quel momento. La stessa scena cambia, quindi, si dissolve, contraddicendo con questo l’altro statuto irrinunciabile per chi nel cinema cerca solo racconto: l’assoluta incontrovertibilità dell’immagine filmata.
Nel leggere le prime recensioni a Ricordi? di Mieli non stupisce più di tanto il costante riferimento a Eternal Sunshine of the Spotless Mind di Gondy e Kaufman. Anche lì, come qui, c’è infatti, un gioco a incastri tra presente passato e futuro. Anche lì, come qui, c’è una storia d’amore tra due personaggi che si trovano, si cercano, poi si respingono e infine si ritrovano.
Accostamento calzante quindi, ma di memoria corta. Perché il gioco della percezione distorta del ricordo, la confusione nebbiosa della mente che ingigantisce e modifica, sta tutta nel cinema di Resnais tra L’anno scorso a Marienbad e Providence: tra vette altissime della storia del cinema, quindi, e su un sentiero che lo stesso maestro francese ha abbandonato (ma mai del tutto) quando negli occhi ha cominciato a brillargli l’ironia più bonaria di chi guarda la vita e il suo paradosso senza troppa rabbia e sapendo cosa vuol dire “lasciare andare”.
Di Resnais, in Ricordi? si trova un po’ di tutto. Dal periodare franto all’immagine che si sbriciola colpita da amnesia; dalla confusione dei piani alla logica strutturale; dall’irruzione onirica all’inserto estraneo come la visualizzazione della musica di commento che anticipa i titoli finali.
In mezzo una storia d’amore che dovrebbe avere la stessa importanza che ha il sapere se A e B si sono davvero incontrati l’anno scorso a Marienbad e che, invece, per soprassalto romantico, si scalda di un’emotività a tratti troppo invadente. Un’emotività che limita la purezza del gioco strutturale e cerebrale che vorrebbe al centro della storia d’amore solo un uomo infelice e buio e una donna allegra e spensierata (i due estremi dello spettro), ma che è funzionale al “non racconto pur sempre raccontato” di un ricordo che non sfugge alle impressioni del presente e se ne lascia corrompere. Di qui il motivo, forse, per cui il film diventa vieppiù affascinante quanto più si spinge nel passato dei personaggi. Peccato, quindi, che si faccia qualche volta anche un po’ stancante, soprattutto quando a ricordare è il polo negativo della tristezza e del dolore. E peccato che questa divisione tra cuore e mente non trovi sempre un punto di fusione dal momento che ci chiede, sì, di emozionarci, ma pur sempre per un lui e una lei che non hanno nemmeno un nome.
Dall’altra parte la formalizzazione del discorso tende alla musica ed ecco tornare Monteverdi. Perché, in fondo, non si può parlare del ricordo e della memoria che si scioglie senza ricorrere a strutture musicali. Anche perché i nostri ricordi più ancestrali sono intrauterini e quindi sonori, come le ninne nanne che le mamme cantano ai loro pancioni.
Ed è nella strutturazione musicale il maggior fascino di Ricordi? che è un film ambizioso anche quando appare, rispetto a un Resnais, se non altro fuori tempo massimo.
In questa chiave il film di Valerio Mieli ha non poche frecce al suo arco soprattutto per via della formalizzazione delle immagini costruite secondo una successione cromatica di indubbio fascino che sul grande schermo (e solo lì) può trovare un suo perché.
Film di cinema, dunque, questo Ricordi? ed è già solo per questo cosa rara e coraggiosa anche se, per chi scrive, non sempre pienamente compiuta.
(Ricordi?); Regia: Valerio Mieli; sceneggiatura: Valerio Mieli; fotografia: Daria D’Antonio; montaggio: Desideria Rayner; interpreti: Luca Marinelli (Lui), Linda Caridi (Lei), Giovanni Anzaldo (Marco), Camilla Diana (La ragazza rossa); produzione: Bibi Film, Les films d’ici; origine: Italia, 2018; durata: 106’