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Venezia 76 - La mafia non è più quella di una volta

Pubblicato il 8 settembre 2019 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Venezia 76 - La mafia non è più quella di una volta

Il 23 maggio 2017, a 25 anni dalla strage di Capaci, Palermo si appresta a celebrare i due giudici assassinati da Cosa Nostra e Franco Maresco decide di cominciare da lì il suo nuovo film, premiato a Venezia con un sorprendente ma anche sacrosanto Premio Speciale della Giuria: una ricognizione sull’attuale percezione che di quei personaggi e di quei tragici eventi hanno i palermitani di oggi, i giovani, la gente del popolo, coloro, insomma, in nome dei quali i due eroi della grande battaglia tra lo Stato e la Mafia combatterono sacrificando la propria vita, per affrancarli dall’odiosa schiavitù dei clan. Ma qualcosa non torna, e le risposte dei passanti intervistati per caso sono sfuggenti, evasive, quando non vistosamente scortesi, addirittura minacciose. Si tenta allora un ripiego sulla celebrazione ufficiale, dove ragazzi giovani e giovanissimi intonano canti allegri e da parata ginnica, come quelli dei papaboys: dove sono le lacrime, le emozioni, la consapevolezza del senso di una tragedia che sembrava far parte del dna stesso dei siciliani? A chiederselo è Letizia Battaglia, la grande fotografa palermitana ottantaquattrenne che in anni e anni di scatti ha immortalato pagine nere e nerissime della storia della mafia siciliana, e che Maresco ha coinvolto nel film per contrapporre al proprio scettico pessimismo la di lei positiva e battagliera irruenza. Dunque il termometro, a distanza di 25 anni, pare ancora più bollente, ma paradossalmente non per stragi e ammazzamenti, bensì per la constatazione che il veleno di una delinquenza organizzata con la quale convivere in complice omertà scorre nelle vene della Palermo più periferica, sommersa e popolare come elemento antichissimo di un dna che risalirebbe addirittura ad Ulisse: ‘Chi è stato?’ ‘Nessuno!’ risponde Polifemo a chi gli chiede chi lo abbia accecato...

Il nuovo film di Franco Maresco riprende l’ormai celebre statement di quel Ciccio Mira che cinque anni fa era uno dei protagonisti di Belluscone (presentato anch’esso a Venezia): La Mafia non è più quella di una volta. E Ciccio Mira torna in questa discesa in quegli Inferi in cui Maresco non aveva forse mai osato avventurarsi, nemmeno nei televisivi e più grotteschi sketch di Cinico Tv firmati insieme a Daniele Ciprì: là il circo dei freaks, metafora di un universo miserabile ma pur sempre specchio scuro del nostro mondo reale quotidiano e borghese, toccando vertici di lirismo e poesia rarissimi per un prodotto televisivo, si spingeva sull’orlo di un black humour allestito dai due autori in set scrupolosamente impostati e inquadrati secondo i crismi di una precisa ricerca estetica; qui invece Maresco adotta, come ormai è uso fare da quando lavora da solo, la tecnica del mockumentary (o docufiction? Ferve il dibattito su cosa vogliano dire entrambi, senza che nessuno denunci questa inutile mania di dare sempre a tutto una non necessaria definizione), sfruttando tutti i gimmick e le possibilità espressive del linguaggio del video, precisamente quello degli anni ’90 del secolo scorso, al quale si sono arrestate le evoluzioni tecnologiche e creative delle tv locali palermitane. Qui la ridda dei casi umani (talvolta anche sub-umani), capaci di scatenare risate irrefrenabili e automatico scherno, travalica il limite del buffo, del ridicolo e del comico: qui non c’è finzione, né un’impostazione organizzata. La sgangheratezza del film, uguale a quella della vita reale (che non segue certo pedissequamente gli schemi della sezione aurea o della forma-sonata), i numerosi finali e sottofinali che ci accompagnano fin oltre i titoli di coda, corrispondono a una carovana di personaggi che sembrano l’aggiornamento contemporaneo dei mostruosi omuncoli dell’Espressionismo tedesco letterario, pittorico e cinematografico. Hanno perso ogni contatto con il dato reale, forse non lo hanno mai avuto nemmeno da piccoli, quando la mafia ha iniziato a fagocitarli imponendo loro i suoi codici esclusivi. Parlano un italiano approssimativo: sembra, mentre lo parlano, che lo svìcolino per non cadere in trappola ed esser còlti a rivelare verità inconfessabili che essi stessi hanno cancellato dal proprio hard disk interno. Personaggi borderline, che attraversano la vita autoconvincendosi di ciò che esiste e di ciò che non esiste, mattoni di un muro di gomma impossibile da scalfire. Sbatterci continuamente contro produce in Maresco, onnipresente con la sua scanzonata voce fuori campo, un disincanto e uno scetticismo sempre più tragico e nero, anzi mai così esacerbato. Anche se i morti e gli ammazzamenti non si verificano più con la frequenza di un tempo, ormai anche l’aria, a Palermo e in tutta la Sicilia, è consustanziata di questo impenetrabile velo di Maya. Pretendere che questi personaggi, dall’impresario di feste di strada Ciccio Mira al suo produttore Matteo Mannino, al miracolato Cristian Miscel, giovane cantante neomelodico che non azzecca una nota neanche a spingergliela in bocca, distinguano legalità e illegalità, o accettino di magnificare i due eroi morti ammazzati 25 anni prima, o che si facciano scrupoli nel vantare la propria amicizia con il Presidente della Repubblica cui chiedere con altrettanta leggerezza la grazia per un nipote assassino sanguinario rinchiuso in galera mentre fuori la mafia sembra pervenire ad uno stadio di irretimento ancor più impercettibile, è oggettivamente ingenuità pura e folle. Quello che avviene sullo schermo, davanti alle cineprese e ai microfoni lasciati sempre accesi nelle tasche o sotto le cravatte di questi cumuli umani di omertosa ambiguità, ha dell’incredibile; così come altrettanto assurdo è pensare che dalle Istituzioni possa partire un’opera di recupero di un’etica e di una morale ormai evidentemente svanite per sempre. Si ride parecchio, di fronte a tanta pervicace miseria umana, che neppure tenta di adeguarsi ad un nuovo corso ed elevarsi dalla schiuma in cui la mafia la trattiene. Ma si esce dal film investiti della medesima, agra consapevolezza che ogni sforzo è stato e sarà vano. A distanza di un anno, le celebrazioni dell’anniversario di Falcone e Borsellino hanno forse preso una piega più consapevole, forse perché nel frattempo la giustizia ha confermato la volontà consapevole dello Stato nella famosa ’Trattativa’ con Cosa Nostra. Ma Maresco non è convinto, e proclama fieramente il proprio scetticismo, nonostante il dito medio alzato indirizzatogli da Letizia Battaglia, che a 84 anni crede forse ancora possibile il miracolo.


CAST & CREDITS

(La mafia non è più quella di una volta); Regia: Franco Maresco; sceneggiatura: Franco Maresco e Claudia Uzzo; fotografia: Tommaso Lusena De Sarmiento; montaggio: Edoardo Morabito, Francesco Morabito; musica: Salvatore Bonafede; interpreti: Letizia Battaglia, Ciccio Mira, Matteo Mannino, Cristian Miscel, Franco Zecchin; produzione: Ila Palma, Dream Film, Tramp Lmd; distribuzione: Fandango; origine: Italia, 2019; durata: 105’


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