Venezia 76 - A herdade (The domain)
The domain, uno dei film rivelazione della 76esima edizione del Festival di Venezia, non porta a casa premi, perché probabilmente non può essere inserito in un panorama di una cinematografia eclatante, come quella di quest’anno, che ha premiato dei film validi ma non dei lavori diversi o innovativi.
La bellezza del film portoghese diretto dall’ottimo Tiago Guedes è la profondità di un cinema che non vediamo da tempo e forse è anche la sua pecca perché di film che ricordano saghe di famiglie e terre ce ne sono di celeberrimi: Il padrino e Novecento già sono abbastanza per danneggiare un lavoro meritevole di plauso.
A herdade ha un pregio che comunque lo tutela nel renderlo un film di livello: emula un cinema del passato attingendo alla regia del presente, un compromesso tra realismo e psicologia, un mondo cinematografico in cui non è solo la parte estetica, di gran portata in questo caso, a farla da padrona, ma uno spessore elevato della sceneggiatura e dello studio dei personaggi.
Personaggio centrale del film è João, proprietario terriero e uomo tenebroso, complesso, a volte detestabile, interpretato da un attore che potremmo definire superlativo, il portoghese Albano Jerónimo, impegnato nel teatro nazionale e in diverse nuove produzioni cinematografiche.
Il film inizia in modo cruento, con l’immagine del fratello del protagonista impiccato ad un albero, monito secondo il padre che la vita non perdona: l’idea della forza a tutti i costi si fa subito strada nella mente del piccolo João che ritroviamo subito dopo ai suoi 40 anni.
Vive nella sua tenuta di famiglia di ben 14000 ettari sul fiume Tago, con la storica moglie, donna raffinata della borghesia importante della società nazionalista del tempo, i figli e numerosi collaboratori, tra cui una graziosa donna di servizio che diventa inevitabilmente una delle sue amanti.
Tutto il grande equilibrio tradizionalista e un po’ maschilista viene sconvolto dall’ingerenza del suocero, il generale che vuole che il genero collabori a tutti i costi con il governo di estrema destra di Salazar: ci si preparava alla Rivoluzione dei Garofani del 1974, che poneva fine alla dittatura e ripristinava la democrazia.
La saga è indubbiamente avvincente e la lunghezza del film è emblematica di un lavoro che raccoglie più studi e tematiche: la poco conosciuta storia contemporanea del Portogallo, le dinamiche malate delle famiglie patriarcali e la distruttiva vita di narcisisti patologici come il protagonista.
João incarna perfettamente il personaggio dongiovannesco e dall’ego spropositato, nonostante solidarizzi con i propri dipendenti, la sua immagine se vista in profondità non è quella di colui che prova compassione per gli sfruttati, ma di chi cerca consensi all’interno di un pubblico che non è altro che la popolazione della propria tenuta.
Come tutti i narcisisti anche il proprietario terriero ha una precisa fascinazione sul prossimo e spesso lo manipola e gestisce, non è un caso che la moglie resista a un rapporto di subalternità per tre decenni e se ne liberi ormai arresa alle dure verità della seconda vita di João. Terra e sentimenti, legami e divisioni, vita e morte.
Un film di sicuro pretenzioso, ma non presuntuoso, perché nel complesso riesce a descrivere l’esistenza di una figura dell’escudeiro ormai inesistente in molte terre della vecchia Europa.
Un’immagine romantica che non tutti hanno saputo cogliere se non sono vicini alla letteratura di paesi che nella loro storia hanno basato il concetto
di potere solo sulla quantità di terre in grado di possedere e conquistare tanto da arrivare in America.
Che piaccia o no, A herdade è un film ben riuscito, seppur con difficoltà dovute alla presenza di un plot piuttosto intricato in stile kolossal, ci ipnotizza il protagonista, ci avvolge il colore caldo della terra e ci colpisce la lotta di un uomo contro tutti per la sua terra, unica vera compagna in mezzo a una sterminata solitudine dell’anima riflessa nei colori e luoghi di un Portogallo ormai lontano.
(A Herdade - The domain); Regia: Tiago Guedes; sceneggiatura: Rui Cardoso Martins, Tiago Guedes; fotografia: João Lança Morais; montaggio: Roberto Perpignani; interpreti: Albano Jerónimo, Sandra Faleiro, Miguel Borges, Ana Vilela da Costa, João Vicente, João Pedro Mamede; produzione: Leopardo Filmes (Paulo Branco), Alfama Films Production, CB Partners, Ana Pinhão Moura Produções; origine: Portogallo, 2019; durata: 164’