Venuto al mondo

Se c’è una cosa che colpisce di Venuti al mondo, questa è il suo continuo rimandare ad un «prima».
Non solo, nel racconto, il «prima» della storia di una madre che arriva a Sarajevo col figlio adolescente, ma, nel film, al «prima» della stessa immagine.
Ogni inquadratura di questo film denso e stipato all’inverosimile, rimanda costantemente al «prima» del set, dell’organizzazione dell’immagine, della messa in quadro. Ogni gesto d’attore rimanda al «prima» dei perché e delle motivazioni. Ogni parola proferita crea un ponte col «prima» del romanzo.
Il film finito rivela la sua natura compromissoria ad ogni passo. Ogni passo riporta indietro ad un momento in cui tutto era solo idea, pensiero nell’utero protetto del non ancora detto, del non ancora fatto e del non ancora scritto.
Per un film sulla maternità non è poco ritornare ad ogni momento al punto esatto del concepimento, ricordare con nostalgia l’attimo quasi dell’ovulo fecondato dal raggio di luce dell’idea.
Tutto il resto è meccanicismo, travaglio, elaborazione.
Sarà per questo che i momenti che veramente dispiacciono del film sono quelli più estremi della post produzione: perché, più lontani dal punto zero della creazione, sono quelli più compromessi col venire al mondo del parto che è, prima di tutto, necessariamente, un distacco. Così il doppiaggio rompe il cordone ombelicale dell’attore dal corpo del film e lo riconsegna, nudo, ad un mondo di sole immagini privato di quelle inflessioni che si indovinano nei volti e nell’alzarsi dei petti. Dramma costante, questo, del cinema italiano che non sa doppiare se stesso con la stessa mimesis e abitudine con cui doppia il cinema americano.
Ma così anche il lavorio sul suono che, a caccia di melodramma, tira fuori deformazioni improbabili come quella del vagito del bambino nel ventre dell’aereo che non ha più niente a che vedere col corpicino che l’aveva prodotto.
Castellitto autore mette il suo film all’ombra del romanzo. Anzi lo fa essere un ramo fresco, innestato su tronco antico e grande. Il libro a sua volta torna indietro alla sua stessa gestazione. Rimanda ad ogni rigo, così come ce lo restituisce il film, al momento dell’idea, al minuto secondo in cui le notizie confuse della guerra nella Ex Jugoslavia si mischiavano alle notizie degli stupri etnici e al senso di maternità dell’autrice che, al tempo, era in attesa di quello stesso Pietro, figlio desiderato, che ora è nel film, a dare carne di se stesso.
Il fulcro del film, che cioè da un gesto atroce come la violenza su una donna (e della guerra sulla pace) possa nascere, contradditorio, doloroso amore, resta gesto di madre coccolato ad ogni istante.
Il resto, invece, è solo struttura portata a sostegno dell’idea. In un gesto sacrale in cui indovini, sempre, perennemente una convinzione estrema, vera, sincera.
Ognuno qui ha fatto il film perché voleva farlo, perché la storia è così bella che anche la fredda griglia della prosa della scrittrice non è stata gabbia abbastanza grande da chiudere tutto in forma di romanzo. Ed il film, nelle sue fasi di continua costruzione, dalla sceneggiatura al lavoro degli attori, dalla ripresa al montaggio, dal doppiaggio al missaggio non ha fatto che aggiungere gabbie che stringono e costringono senza che la purezza di quell’idea appaia mai del tutto compromessa.
Il bello di Venuto al mondo è in questa lotta tra il ritorno all’utero dell’idea e il travaglio del venire alla luce del film. Il fallimento è la condizione della sua poesia perché nascere è sempre il più faticoso dei lavori.
Alcune compromissioni dell’atto di filmare si perdonano, però, meno di altre. In particolare l’idea che la guerra resti troppo sfondo ad una storia che aveva promesso di voler prendere a braccetto la Storia. Il conflitto dei balcani, di fronte al quale abbiamo chiuso gli occhi prima, durante e dopo, cammina di inerzia sotto un racconto così universale che avrebbe potuto prendere corpo in una qualsiasi delle infinite guerre con cui conviviamo ancora oggi senza scandalo.
Al film, vissuto tutto negli occhi della madre e di una storia d’amore dolorante, manca un po’ di coro a dirci i perchè del mondo circostante. La piccola comunità intellettuale che avrebbe dovuto costruire il senso del microcosmo sociale di Sarajevo ci viene appena presentato con una stretta di mano e poi vien messo a morire sotto i tiri dei cecchini in scene che sembrano stare lì più per contratto col romanzo che per un reale bisogno di racconto.
Peccato! Perché per il resto il film è spesso potente. Poco sorvegliato nella successione dei momenti forti del racconto, ma capace di colpire forte accollandosi il rischio di un fiammeggiante melodramma di guerra nei nostri grassi tempi di finta pace.
(Venuto al mondo); Regia: Sergio Castellitto; sceneggiatura: Sergio Castellitto, Margaret Mazzantini; fotografia: Gianfilippo Corticelli; montaggio: Patrizio Marone; musica: Eduardo Cruz; interpreti: Penélope Cruz, Emile Hirsch, Sergio Castellitto, Adnan Hasković, Pietro Castellitto, Saadet Aksoy, Luca De Filippo, Jane Birkin, Mira Furlan, Jovan Divjak; produzione: Medusa Film, Picomedia, Alien Produzioni, Telecinco Cinema, Mod Producciones, Ziva Produkcija; distribuzione: Medusa Film; origine: Spagna, Italia, Croazia 2012; durata: 127’; webinfo: Sito ufficiale
