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Verso gli Oscar: THE UNITED STATES VS. BILLIE HOLIDAY

Pubblicato il 18 aprile 2021 da Matteo Galli
VOTO:


Verso gli Oscar: THE UNITED STATES VS. BILLIE HOLIDAY

Il caso (il caso?) ha voluto che nell’arco di mesi venissero girati due film su Billie Holiday (1914-1958), due film che più diversi non potrebbero essere. Fuori concorso al Torino Film Festival si era visto Billie (http://www.close-up.it/billie-fuori...) l’originale documentario di James Erskine, incentrato sulla cantante ma anche sulla vita e soprattutto sulla morte della giornalista Linda Lipnack Kuehl (1940-1978) che per anni aveva lavorato alla stesura di una biografia di Lady Day mettendo insieme una messe di materiali davvero significativa anche perché – stante la vicinanza degli eventi - si era potuta avvalere di documenti autentici e interviste a illustri personaggi del mondo del jazz che con Billie Holliday avevano avuto a che fare – dopodiché Lipnack Kuehl era appunto morta in circostanze a dir poco sospette, apparentemente suicida saltando giù dalla finestra di un hotel, secondo i suoi parenti invece assassinata. Più o meno nello stesso periodo il sessantaduenne regista nero di Filadelfia Lee Daniels (con qualche film non proprio memorabile alle spalle, l’ultimo, pensate un po’, risale al 2013 e s’intitola The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca , con Forest Whitaker nella parte del protagonista) ha girato un film intitolato The United States vs. Billie Holiday , sceneggiato da Suzan Lori-Parks, autrice di teatro alla quarta sceneggiatura nell’arco di venticinque anni (!), la più importante fu la prima ovvero Girl 6 – Sesso in linea , diretto nel 1996 da Spike Lee.

La sceneggiatura del film di Lee Daniels è liberamente tratta da un libro, o almeno dalla parte di un libro di successo, uscito contemporaneamente in Gran Bretagna e negli Usa del 2015 che s’intitola Chasing the Scream. The First and the Last Days of the War on Drugs. L’autore si chiama Johann Hari, e il testo nasce in occasione del centenario della nascita della “war on drugs”, della guerra contro la droga iniziata negli USA con il cosiddetto "Harrison Narcotics Tax Act". In questa ricostruzione Billie Holiday riveste un’importanza decisiva, essendo stata già prima di diventar famosa una eroinomane dichiarata ed essendo dunque una volta celebre una persona ideale per conferire alla battaglia federale quella visibilità mediatica che i promotori andavano cercando. La mente pensante di questo piano, architettato insieme all’onnipresente J. Edgar Hoover, rispondeva al nome di Harry Jacob Anslinger, figura di spicco in campo federale già all’epoca del proibizionismo, personaggio non privo, peraltro, di ombre, visto che lui stesso, a quanto si legge, faceva uso regolare di morfina. E nel film Anslinger assurge a tutti gli effetti a figura di assoluta centralità (come in effetti fu), autentico vilain che sviluppa nei confronti di Billie Holiday un’attitudine persecutoria decisamente maniacale. Vi è poi un terzo personaggio, anch’egli realmente esistito, certamente il più dialettico e controverso di tutti che si chiama Jimmy Fletcher e che fu un agente federale nero - per certi versi paragonabile all’analoga figura che abbiamo visto di recente in Judas and the Black Messiah (http://www.close-up.it/judas-and-th...) - che Anslinger mise alle calcagna di Billie, ma che finì per innamorarsi di lei.

Intorno a questa triangolazione si regge più o meno tutto il film che presenta numerose pecche: 1) una sceneggiatura sfilacciata, forse volutamente sfilacciata, con episodi apparentemente autoconclusivi ed ellittici, in realtà fastidiosamente ridondanti; 2) un uso insopportabile della dissolvenza incrociata a fini estetizzanti; 3) un ricorso, anch’esso, oltremodo patinato allo shift progressivo fra bianco/nero e colore e viceversa, “fingendo” che le immagini in bianco/nero siano footage, con l’aggiunta, se già così non bastasse, di stucchevoli effetti slow motion; 4) un uso oltremodo posticcio delle riprese in studio. Insomma tutto un tripudio di arzigogoli formali che nulla aggiungono anzi molto tolgono alla “autenticità” del plot, anche qui il confronto con Judah and the Black Messiah che pure non lo si poteva definire un capolavoro va tutto a svantaggio di questo film, in cui anche l’elemento più squisitamente persecutorio di Anslinger ai danni di Billie, ovvero l’elemento razzista viene ripetuto fino alla noia. Stiamo parlando del tentativo ossessivo di fare in modo che nelle sue esibizioni Lady Day eviti di cantare la sua canzone più celebre e più disturbante ossia Strange Fruit, la canzone che mette il dito nella piaga delle vessazioni a cui soprattutto negli Stati del Sud vengono sottoposti i cittadini neri, appesi agli alberi, una canzone alla quale Anslinger conferiva un potere di detonazione e di denuncia forse superiore a quello che in realtà aveva. In tutto questo – e per una volta le scelte della Academy non si possono che condividere – si salva solo Andra Day, l’attrice-cantante a cui è stata conferita la candidatura come migliore interprete femminile. Si tratta di un’interprete eccellente, dotata di qualità soprattutto canore fuori del comune che forse ha solo il difetto di “scimmiottare” troppo Billie Holliday, un po’ come Rami Malek che scimmiottava Freddie Mercury. Personalmente riteniamo preferibili quegli attori/cantanti che re-interpretano e non imitano: Renée Zellweger, pur somigliantissima, in Judy (http://www.close-up.it/judy) o Taron Egerton in Rocketman (http://www.close-up.it/rocketman).


CAST & CREDITS

(The United States vs. Billie Holiday); Regia: Lee Daniels sceneggiatura: Suzan-Lori Parks; fotografia: Andrew Dunn; montaggio: Jay Rabinowitz; interpreti: Andra Day (Billie Holday), Trevante Rhodes (Jimmy Fletcher), Garry Hedlund (Harry Anslinger), Natasha Lyonne (Tallulah Bankhead), Tyler James Williams (Lester ’Prez’ Young), Rob Morgan (McKay); produzione: Hulu Original; origine: Usa 2021; durata: 130’.


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