VHS - Dagon

Il racconto di Howard Phillips Lovecraft da cui il film trae ispirazione è una di quelle opere che, nel giro di appena poche pagine, sconvolgono ogni canone narrativo e avviano quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato un nuovo giro d’avvio della narrativa fantastica. Dietro una cornice squisitamente realistica (lo scritto si apre con una vera e propria scena di guerra con l’io narrante che fugge da una nave tedesca, di cui era prigioniero, a bordo di una scialuppa e si chiude con una serie di scene ospedaliere) si nasconde una delle visioni apocalittiche più incredibili e più ellittiche di tutta la produzione dello scrittore di Providence. Tra le pieghe del racconto, scritto nel 1917 (quindi una delle prime prove riuscite della produzione lovecrafitiana) si intravedono già gli aspetti che saranno tipici delle opere della maturità: un gusto per una descrizione ad un passo dalla pedanteria scientifica che, però, è costretto ad arrendersi di fronte alla visione dell’orrore innominabile, l’attenzione per il dettaglio realistico che deve ospitare, quasi in una forma profana dell’epifania, l’avvento del fantastico, la prosa allucinata e vivida. Ma soprattutto, nel gioco narrativo si intravedono, in germe, quelle che saranno le tematiche portate poi avanti con maggiore maturità in quel corpus compatto di opere che tutti noi conosciamo sotto il titolo di “Miti di Chtulhu”. Non è un caso, infatti, che Fruttero e Lucentini, nel curare quella che restò a lungo la migliore antologia delle opere dello scrittore prima della pubblicazione eccellente dell’opera omnia a cura di Giuseppe Lippi presso Mondandori (I mostri all’angolo della strada) apra la sezione dedicata a Cthulhu proprio con questa breve novella che, pure, non nomina affatto le terribili creature che saranno le vere protagoniste del ciclo. Nel riprendere i temi del racconto, il regista Stuart Gordon (che rivela un amore straordinario per le opere dello scrittore visto che aveva già portato sugli schermi una sua personale visione di Re-animator) deve, per forza di cose, operare per addizione e per dilatazione di temi e motivi. Il filo narrativo fornito dalla pagina scritta (che resta un racconto prevalentemente atmosferico e, paradossalmente, privo di azione diretta) è, infatti, in questo caso molto più esile di quello offerto, ad esempio, da Re-animator che era invece un racconto estremamente più mosso e non privo di tante digressioni utili a chiunque volesse cimentarsi nella messa in scena. Abbandonati i contesti bellici del racconto, il regista e lo sceneggiatore giocano di attualizzazione, aggiungono personaggi, rivitalizzano situazioni e creano un contesto del tutto nuovo nel quale calare la suggestione offerta dalla pagina. Il film che ne viene fuori è, per necessità di cose, diversissimo dal racconto, ma si rivela estremamente rispettoso di quelle che sono le indicazioni della futura narrativa lovecraftiana che sono, pur sempre, contenute in nuce nello scritto. La storia dei rampolli viziati della nuova società dei computer (la scena iniziale con il PC gettato in acqua è una riattualizzazione potente di un tipico tema lovecraftiano come quello dell’impossibilità della scienza di penetrare nei misteri del mondo dell’orrore) che si trovano catapultati in un orribile città popolata da uomini che stanno inesorabilmente mutando in esseri marini abominevoli e che utilizzano la pelle umana, opportunamente conciata, come maschera per andare in giro (da qui l’idea per Jeeper creepers?), è, infatti, quanto di più vicino alle allucinate narrazioni dello scrittore americano. Coadiuvato da un cast ottimo (vi troviamo anche l’ultima interpretazione di Francisco Rabal cui è dedicata la pellicola), il film brilla per una serie di soluzioni assai azzeccate, tra tutte la concitata scena dell’inseguimento del protagonista nei vicoli della città: un ottimo crescendo ritmico che ammicca alle atmosfere del capolavoro cormaniano (sempre tratto da Lovecraft) The Dunwich horror. Girato con pochi soldi e molta fantasia.
(Dagon); Regia: Stuart Gordon; Sceneggiatura: Dennis Paoli da un racconto di H. P. Lovecraft; Fotografia: Carlos Suarez; Montaggio: Jaume Vilalta; Musica: Charles Cases; Interpreti: Ezra Godden, Francisco Rabal, Raquel Meroño, Macarena Gomez; Produzione: Julio Fernandez, Brian Yuzna per Fantastic Factory
[novembre 2002]
