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VHS - Dorian

Pubblicato il 28 marzo 2003 da Alessandro Izzi


VHS - Dorian

Il ritratto di Dorian Gray è ormai unanimemente considerato come una delle Bibbie dell’estetismo e del decadentismo. Si tratta di un romanzo fondamentale che solo apparentemente vuole parlarci dell’ambiguo rapporto tra l’essere e l’apparire, ma che, in verità, andrebbe letto più come una sorta di munifico arazzo di fantasia ed artificio. Nel narrare la vicenda di un uomo che stipula uno scellerato patto con il demonio e vede l’anima per inseguire il principio del piacere assoluto, Oscar Wilde aveva inteso contribuire direttamente alle dispute etiche e filosofiche del tempo che riannodavano nell’ideale superomistico di Nietzsche le fila di un discorso contro la morale comune di inaudita modernità. Anche se Il ritratto è tra le opere dello scrittore irlandese quella che maggiormente risente del passare del tempo (quasi fosse il dipinto che invecchia al posto delle idee del suo autore), non da meno esso resta il luogo ideale per una sfida alle convenzioni della società benpensante, ancor oggi, di inaudita forza e vitalità. Ed è proprio questa volontà anticonvenzionale, questo desiderio di relativizzare il modo di pensare di una società (quella inglese, ma per metafora, di qualsiasi società) che si crede a torto onnisciente, a mancare in questa penosa rielaborazione cinematografico del romanzo wildiano. Dalla fonte letteraria il regista (Allan Goldstein) e gli sceneggiatori (Ron Raley e Peter Jobin) traggono solo l’archetipo narrativo del patto faustiano col demonio e l’idea fenomenale del dipinto (qui una foto) che invecchia ed imbruttisce al posto della persona ritratta. Su questa esile base, imbastendo un risaputo discorso sulla differenza tra essenza e apparenza che trova proprio nel mondo dell’alta moda di New York un luogo di ideale banalizzazione, viene poi costruito un prodotto di rara bruttezza che denuncia la sua sostanziale vocazione televisiva. Modellando il racconto sulla base di un susseguirsi di scene isolate ed autonome legate tra loro con il debole filo di sequenze ricorrenti (le strade della metropoli che scorrono anonime di notte, il dettaglio del lampo di un flash di qualche apparecchio fotografico), il film prosegue inarrestabile il suo percorso nelle derive dell’ovvio lanciando solo a sprazzi qualche barlume di idea originale. Molte idee che avrebbero meritato maggiore spazio (la ricerca affannosa del successo e dell’auto affermazione professionale in un mondo sempre più popolato da anonimi commedianti impegnati in una farsa senza scopo) restano per lo più allo stato di puro e semplice abbozzo, mentre, in molti punti si rischia il vuoto narrativo puro e semplice. Il problema è che il regista concentra troppo la sua attenzione su quegli aspetti narrativi (il patto satanico, la discesa agli inferi del protagonista) che avrebbe potuto tranquillamente sorvolare dal momento che il racconto wildiano è ultranoto, mentre altri “dettagli” psicologico-tematici che avrebbero meritato maggiore approfondimento (il rapporto tra il protagonista e il suo doppio fotografico, ad esempio) restano appena detti. L’autore non è certo stato aiutato dal pessimo attore cui è affidato il ruolo principale (Ethan Erickson: un belloccio senza espressione che si sforza di palesare un dramma interiore di cui pare non capire mai la portata), né è soccorso dallo stuolo di comprimari tra cui spiace vedere Malcolm McDowell nella parte del diavolo tentatore (anni luci del ben più satanico Alex di Arancia Meccanica).

(Dorian); regia: Allan Goldstein; sceneggiatura: Ron Raley, Peter Jobin; fotografia: Eric Moynier; montaggio: Benjamin Duffield; musica: Larry Cohen; interpreti: Malcolm McDowell, Ethan Erickson, Jennifer Nitsch, Christophe Waltz; produzione: Danger Inc., Alist Production, Towers of London production; distribuzione VHS: Cecchi Gori Home video

[marzo 2003]


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