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VHS - Faust

Pubblicato il 27 novembre 2002 da Alessandro Izzi


VHS - Faust

Più che una riattualizzazione del capolavoro di Goethe, il Faust di Brian Yuzna (tratto da un fumetto assai popolare negli States) appare, piuttosto, un tentativo di recuperare l’anima barocca (e visionaria) della figura del mitico personaggio medioevale. Abbandonati i simbolismi sublimi della poesia del sommo autore tedesco, abbandonato l’intrico vertiginoso di metafore che il testo teatrale metteva in atto, il film si affida, infatti, ad un meccanismo scenico che lo avvicina semmai alle leggende popolari dell’area alto germanica (o al testo di Marlowe che da quelle stesse leggende trae spunto) che non ad altro. Gli aspetti esistenziali, la crisi dolorosa che porta il personaggio al suo patto scellerato con il maligno restano, quindi, come nelle opere su citate, un mero pretesto per avviare uno spettacolo barocco e assurdo che tocca, nella scena finale dell’evocazione della mostruosa divinità degli inferi, vertici di visionarietà incontrollata. Quello che conta, quindi, non sono le motivazioni psicologiche che spingono i vari personaggi a compiere le proprie azioni (e che stabiliscono, per questo, i labili confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, tra ciò che conduce alla dannazione e ciò che, per contro, conduce alla salvazione), quanto, piuttosto, l’idea sottintesa di voler mostrare ciò che c’è dietro il sovvertimento delle leggi naturali, ciò che porta alla sospensione della normalità e che permette l’entrata in campo dell’abnorme, dell’eccessivo, dell’incredibile. Scompaiono, o vi subiscono profondi mutamenti, i temi dell’amore salvifico e della ricerca della conoscenza che erano il centro motore ultimo ed imprescindibile del testo teatrale goethiano e si affacciano sulla scena elementi grotteschi e visionari che ci riconducono sempre, con sofferta insistenza, alle contraddizioni di una vita che, sempre più, perde di vista ogni valore etico e si smarrisce, per questo, in una vuota consapevolezza materialistica dell’esistenza. Quello che sembra maggiormente interessare il regista, secondo una vena poetica che già in un film come Society aveva toccato punte di altissima qualità di messa in scena, è piuttosto il tema molto più contemporaneo della mutazione dei corpi, della degenerazione della carne, dell’annullamento di ogni possibile dicotomia tra mente (e quindi anima) e corpo. Proprio per questo motivo il testo filmico perde quasi ogni possibile connotazione metafisica e diventa un perfetto meccanismo di messa in scena di figure assurde, fiaccate dal peso del proprio stesso fisico da cui nessun anima immortale sembra poter fuggire mai. Tutte le scene che sembrerebbero far ricorso a categorie come l’amore, il pensiero, la libertà, risultano palesemente svuotate di senso da una messa in scena che le sovraccarica di una sorta di surplus teatrale (da teatro delle marionette, però) che lo rende sempre assolutamente poco credibile. Certo la scena conclusiva, con tanto di barocchissima evocazione satanica, in alcuni momenti appare posticcia e, in sostanza, meno riuscita della quasi insostenibile (per lo stomaco), ma geniale (per la mente) orgia finale di Society. Ed è vero anche che l’intero plot è, in alcuni momenti, eccessivamente forzato in alcuni sviluppi narrativi, ma Faust è prima di tutto la dimostrazione di una notevole continuità da parte di un regista che il mercato e l’industria rischiano di tenere un po’ troppo a margine.

(Faust); Regia: Brian Yuzna; Sceneggiatura: David Quinn dal romanzo di Tim Vigil e David Quinn; Fotografia: Jacques Haitkin; Montaggio: Luis De La Madrid; Musica: Xavier Capellas; Interpreti: Mark Frost, Isabel Brook, Jeffrey Combs; Produzione: Julio Fernandez, Brian Yuzna per Fantastic Factory

[novembre 2002]


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