Viaggio al centro della terra 3d
Al cospetto di imprese filmiche ipertecnologiche come l’ultima versione di Viaggio al centro della terra, viene da chiedersi quale sia il futuro del cinema. Per ogni attività umana c’è infatti sempre un limite da valicare, una nuova frontiera da raggiungere, e per quanto si possa convivere con il vecchio, il nuovo e l’ignoto attraggono potentemente le energie umane, come le sirene di Ulisse: sono stimoli impossibili da ignorare, e per quanto riguarda il cinema la nuova frontiera è inequivocabilmente la grafica tridimensionale.
Le possibilità creative offerte dal 3d sono praticamente infinite. O meglio, si può dire che tramite una buona macchina, un buon software e ovviamente un buon operatore, è possibile dar vita a qualunque cosa, ragione per cui di fronte alla fantasia e creatività umane si apre un mondo di possibilità da sfruttare nelle maniere più disparate.
E’ anche possibile però che di fronte a una tavola riccamente imbandita venga a trovarsi chi non ha una gran fame, ed è il caso dei creatori di Viaggio al centro della terra 3d.
E’ proprio riflettendo sul romanzo da cui il film è tratto che ci si rende conto di come i mezzi siano nulla di fronte alla creatività umana. In Voyage au centre de la Terre del 1864, Jules Verne, in punta di penna, dette prova di grande fantasia e creatività, inventando non solo un mondo inesistente, ma persino un genere, la fantascienza, che avrebbe poi sconfinato dalla letteratura fino a trovare ancor più fertile terreno nel cinema (i primi esperimenti di cinema fantascientifico furono proprio la trasposizione dei romanzi di Verne -vedi la parodia di Meliès di Le voyage dans la Lune).
Ora, Viaggio al centro della terra di Eric Brevig, si presenta come un prodotto di entertainment, dove le possibilità del 3d, sia per quanto concerne la post produzione che per quanto riguarda la possibilità di assistere alla proiezione con appositi occhialetti, sono senz’altro ben sfruttate: ma il problema grave è il tono impuro del film, che sembra quasi non credere a sé stesso e a ciò che racconta, neanche quando i denti del tirannosauro sembrano uscire dallo schermo per venire ad azzannarti in platea. Quello che è necessario in un film fantascientifico (ancor più che in un fantasy, dato che in quel caso ci si convince a priori che per un paio d’ore bisogna credere a ciò a cui stiamo assistendo) è che, per quanto si scelga una narrazione dal sapore ironico, quest’autoironia non venga a smontare il già fragile assunto su cui può reggersi una simile pellicola: o meglio, l’autoironia può anche entrarci, ma dev’essere coerente in tutto perché ogni cosa non cada nel ridicolo. Nel film di Eric Brevig (qui alla sua prima prova come regista, dopo un passato da supervisore agli effetti visivi) succede che se ad esempio i tre protagonisti si trovano a precipitare nel camino di un vulcano, urlando giustamente, tra un urlo e l’altro di una discesa lunga più di mezzo minuto trovano il tempo di prendersi in giro, ma anche di fare delle serissime osservazioni chimico/fisiche sull’ambiente che stanno attraversando, nonché, su quelle basi, di fare previsioni sulla composizione atmosferica del posto dove andranno a concludere la caduta. A questo si aggiunga la storia, mal amalgamata al resto, di uno scontro generazionale, dove i figli –uno dei quali (sodoma e gomorra!) altro non capisce che la play station e i telefoni cellulari- non credono all’impossibile a cui credevano i coraggiosi padri “verniani”: paradossalmente, un elemento come questo denota la paura a spingersi oltre che sottende il film, la smania di legittimare il fantastico mettendolo continuamente in relazione con la realtà tramite l’ironia e l’uso di situazioni strappalacrime. Vizi della sceneggiatura, questi, che vengono a penalizzare la stessa rappresentazione visiva, laddove taluni passi del capolavoro di Verne avrebbero potuto ben godere di un interpretazione più sbrigliata e meno letterale: un film come Viaggio al centro della terra dovrebbe anche fare i conti con l’abitudine del pubblico a vedere sempre di più, e a sbalordirsi sempre meno.
Giocattolone mal riuscito dunque, dove alla fine il personaggio dell’ignorante vignaiuolo alle pendici del Vesuvio, doppiato male in napoletano (figuriamoci cosa dev’essere l’originale), che sembra un surrogato dei personaggi di Italians fuggito dalla sala accanto, è quasi il genio della situazione.
Tutto questo mentre il cinema conserva un ventaglio di possibilità espressive sfruttabili davvero in tutte le direzioni, grazie alle nuove tecnologie: basta affiancare ad esse capacità creative e un po’ di fiducia nell’impossibile.
(Journey to center of the Earth 3D); Regia: Eric Brevig; sceneggiatura: Jennifer Flackett, Mark Levin, Michael D. Weiss; fotografia: Chuck Shuman; montaggio: Steven Rosenblum; musica: Andrew Lockington; interpreti: Brendan Fraser, Josh Hutcherson, Anita Briem, Seth Meyers, Jean Michel Paré, Jane Wheeler, Frank Fontaine, Giancarlo Caltabiano, Kaniehtiio Horn, Garth Gilker; produzione: New Line Cinema, Walden Media; distribuzione: 01 Distribution; origine: USA, 2008; durata: 92’.