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VIAGGIO ALLA MECCA

Pubblicato il 27 aprile 2006 da Flavia Innocenti


VIAGGIO ALLA MECCA

Musthafa (Mohamed Majd) è un anziano marocchino emigrato da trent’anni in Francia. Suo figlio Réda (Nicolas Cazale) è nato a Marsiglia, non parla l’arabo e tanto meno conosce i precetti del Corano. Il rapporto tra i due è teso: incapaci di comprendere l’uno le ragioni dell’altro, vivono quasi ignorandosi, ma quando Musthafa decide di compiere il pellegrinaggio verso la Mecca, Réda pur reticente non può esimersi dall’accompagnarlo.
Il film opera prima del marocchino Ismael Ferroukhi nasce con l’intenzione di offrire un racconto sul mondo musulmano depurato dai numerosi quanto infondati luoghi comuni che, peraltro, contribuiscono ad alimentare un atteggiamento di diffidenza e di timore nei confronti dell’intera comunità islamica.
Il regista si propone di narrare il pellegrinaggio verso la Mecca senza caricarlo, però, di significato prettamente religioso: al contrario, nel film la preoccupazione principale è descrivere un percorso universale e in questo senso rappresenta un vero e proprio Bildungsroman (romanzo di formazione) in cui i protagonisti impareranno a riconoscersi e a comprendersi.
Réda e suo padre attraversano con la loro macchina paesi europei tra loro molto diversi, come l’Italia, la Slovenia, la Bulgaria, la Turchia. Il loro iter è allo stesso tempo sia fisico che spirituale: <<è il viaggio fisico che permette al viaggio interiore di avanzare>> dice Ferroukhi. Ed è proprio questa la sensazione che si ha durante tutto il film, come dimostra la scelta di rendere imprecisati alcuni dei luoghi attraversati dai protagonisti; la sensazione di indeterminatezza conferisce alla situazione vissuta dai due un valore metaforico e assoluto, sciolto dalla mera realtà.
L’intero film è strutturato in modo da rendere evidente la contrapposizione spaziale aperto/chiuso; la macchina con il suo abitacolo rappresenta un microcosmo che attraversa luoghi sempre più vasti e indefiniti.
Un altro elemento rilevante è il lavoro svolto dal regista sul linguaggio. Durante l’intero viaggio Mustapha ha un atteggiamento di chiusura nei confronti del mondo esterno: lascia che sia il figlio a chiedere informazioni sulla strada da percorrere e ad occuparsi delle procedure alle dogane. Non si può fare a meno di notare, però, la difficoltà anche dello stesso Réda nel trovare qualcuno che parli l’inglese. I paesi attraversati sembrano essere completamenti ermetici, solcabili, ma impenetrabili. La situazione si inverte completamente quando i due giungono in Arabia Saudita, dove sarà il padre a padroneggiare la lingua e a spingere la comunicazione con gli altri pellegrini giunti alla Mecca.
Il film, pur essendo un’opera prima, può vantare il privilegio di essere stato il primo film girato alla Mecca: prima di Ferroukhi nessun regista aveva mai potuto girare delle scene in quei luoghi e tanto meno durante il periodo del pellegrinaggio. Le immagini di due milioni di pellegrini riuniti per pregare, di una folla oceanica apparentemente senza fine impressiona e affascina. La sequenza in cui Réda cerca il padre nella moltitudine di fedeli è significativa di quanto un evento così straordinario possa stordire e confondere un occidentale. Il film è stato realizzato nel 2004, Vincitore del Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentis e viene finalmente distribuito dall’Istituto Luce.

(Le Grand Voyage) Regia: Ismael Ferroukhi; soggettoe sceneggiatura: Ismael Ferroukhi;fotografia: Katell Djian; montaggio: Tina Baz; musica: Fowzi Guerdjou; costumi: Christine Brottes; interpreti: Nicolas cazale (Réda), Mohamed Majd (Mustapha); produzione: Humbert Balsan; distribuzione: Istituto Luce; origine: Francia/Marocco; durata: 105’

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