Visions

Il film d’apertura di questa prima edizione dell’interessante Ostia Film Fest è Visions di Luigi Cecinelli. Un concitato thriller psicologico, in uscita oggi nelle nostre sale, al cui interno viene narrata l’ascesa di un serial killer spietato chiamato Spider che con il suo complesso modus operandi riesce a vanificare continuamanente il lavoro di scienza e polizia e a stupire tutti quanti per la meticolosità con cui egli gestisce la messa in scena dell’atto criminale, per la scenografia barocca entro cui inserisce tali atti e, soprattutto, per l’indecifrabilità della sua psicologia, talmente contorta da renderlo un vero e proprio maniaco. Tutto questo però accade fino al momento in cui strane visioni cominciano a comparire nella mente di Matthew, un giovane ospite dell’ospedale di zona che, dopo essersi svegliato dal coma provocato da un incidente stradale, comincia con l’aiuto di un amico e di una presunta giornalista a ricomporre quei suoi laceranti presagi sino a scoprire il loro legame con la figura del maniaco. Gli squarci di realtà aperti nella mente del ragazzo diventano così una sorta di guida con la quale il giovane Matthew tenterà, nella seconda parte del film, di scovare il pluriomicida ed eventualmente salvare le vite da lui minacciate. Ma come sempre accade in film del genere, un mistero si nasconde nella mente del giovane protagonista, qualcosa che neanche lui riesce a decifrare ma che capovolgerà le sorti della sua avventura trasformandola in qualcosa di assurdo ed imprevedibile.
Dietro l’esordio di Luigi Cecinelli si nasconde la voglia di realizzare un cinema ambizioso e coerente, che sappia cioè mescolare sapientemente un forte respiro internazionale ad una costruzione personale della materia cinematografica. Il suo Visions mette insieme i toni e la grammatica dello spettacolo di tipo americano, accentuandoli però in maniera talmente parossistica da raggiungere in certi tratti un sensazionalismo inconcludente. La consapevolezza tecnica del regista nostrano è l’elemento più evidente nella messa in scena del film ed emerge particolarmente in una serie di virtuosismi che, a dispetto di chi crede che in Italia o in Europa non si riesca ancora a riprodurre un impianto visivo magniloquente, colpiscono per la loro complessità e costituiscono un piacere per gli occhi dello spettatore. Un sollievo rischioso però, perché il suo è, più che altro, un effetto placebo la cui scarsa consistenza non gli consente di nascondere, così come accade in molti prodotti hollywoodiani, gli evidenti difetti di sceneggiatura alla base dell’opera e quel richiamo leggermente azzardato agli elementi classici di un genere troppe volte percorso negli ultimi anni. La scontata evoluzione della narrazione purtroppo viene oltretutto aggravata dalla inconsistenza psicologica dei suoi personaggi principali, un manipolo di fragili sagome la cui importanza nello script è ridotta ai minimi termini a causa della loro scarsa credibilità, del vuoto che li contraddistingue e dell’assenza di spessore. Esempio più evidente di questo è una rappresentazione del serial killer che invece di catalizzare l’attenzione del pubblico verso la sua “aura” criminale e patologica restituisce niente di più di una pallida descrizione senza tensione e senza appeal. Per fare un esempio esplicativo di ciò che manca a Visions, è sufficiente fare un salto indietro negli anni e pensare invece a quanto e a come sia stata caricata, all’interno di un punto di riferimento del genere come Seven, l’attesa attorno alla figura mitica del suo criminale John Doe. Un esempio chiarissimo quest’ultimo, che evidenzia ulteriormente le difficoltà incontrate dal regista di Visions nel riuscire a costruire un climax emozionale che risulti convincente e soprattutto che sappia ipnotizzare l’attenzione del proprio spettatore. Sotto questo aspetto, l’esordio di Cecinelli sembra subire molto più l’ispirazione di film recenti come The Horsemen, opera con cui condivide contesti, tonalità e sensazioni ma con la quale si distanzia, ad esempio, per la rappresentazione della fragilità dell’uomo di fronte al crimine, elemento mancante nelle avventure di Matthew e Co. ed invece descritto con chiarezza e convinzione nel film di Jonas Akerlund (seppur tra mille difficoltà e carenze di altro tipo). Visions quindi rappresenta sicuramente una scelta coraggiosa del nostro cinema di genere, una buona prova professionale che purtroppo però mette in mostra vistosi difetti strutturali. A nostro avviso, l’opera di Cecinelli, invece di alimentarsi di un certo tipo di prodotti mainstream, avrebbe potuto guardare anche ad un altro tipo di cinema. Un cinema più vicino alla nostra cultura. Magari mettendo a confronto questa nuova capacità tecnica di cui Cecinelli sembra essere un valido rappresentante, con l’esprit tipico del continente europeo. Con l’insieme cioè di sensazioni, di riferimenti culturali, di quel sottofondo artistico che solo il nostro continente riesce ad esprimere e che avrebbe potuto creare, nell’occasione, una miscela interessante, certamente più profonda e comunque innovativa.
(Visions) Regia: Luigi Cecinelli; soggetto e sceneggiatura: Andrea Dal Monte; fotografia: Claudio Zamarion; montaggio: Claudio Misantoni; musiche: Stefano Fresi; scenografia: Maurizio Marchitelli; costumi: Paola Bonucci; interpreti: Henry Garrett (Matthew), Jakob Von Eichel (Nick), Caroline Kessler (Hope), Steven Matthews (Dr. Leemen), Ralph Palka (Gale); produzione: Baker Pictures, Cydonia; distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia; durata: 108’; web info: http://www.visionsilfilm.it/.
